Maria Angela Iaconis, Functional Analyst, intervista
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Maria Angela Iaconis è due volte ingegnera: ricopre il ruolo di Functional Analyst presso un’azienda multinazionale che opera nell’ambito delle tecnologie digitali. Il suo compito è quello di comprendere e analizzare i bisogni dei clienti al fine di sviluppare le applicazioni richieste.
Due lauree STEM, una in ingegneria biomedicale e una in ingegneria gestionale, un master in Management of Clinical Engineering e la passione per la scrittura. Ho voluto parlare con Maria Angela per conoscere la sua storia come professionista e come donna: energia e determinazione sono le prime caratteristiche che traspaiono di lei.
Maria Angela Iaconis, raccontaci di te
Vivo a Padova dal 2014, ma sono uscita di casa subito dopo il diploma, nel 2005, quando ho iniziato a frequentare il corso di laurea in ingegneria biomedicale a Pisa. Sono originaria di un paese vicino a Vibo Valentia, in Calabria.
I miei genitori sono stati dei modelli per me. Mia madre è fissata con l’indipendenza economica, ma è stato mio padre, medico, a spingere me e mia sorella fuori casa: voleva per noi un percorso di studi che ci portasse ad acquisire una professionalità ricercata e facilmente spendibile.
A dire il vero, mio padre avrebbe sperato che una delle sue figlie entrasse alla facoltà di medicina. Io ci ho provato senza però superare il test d’ammissione. Forse diventare dottoressa non era un mio desiderio sincero. Così ho ripiegato sulla facoltà d’ingegneria biomedicale. L’ho scelta perché credevo fosse simile a quella di medicina!
Ero totalmente impreparata ad affrontare le difficoltà d’ingegneria a Pisa: è stato molto impegnativo. Ho dovuto ripetere alcuni esami anche più di due volte. Pensa che a dicembre del primo anno, dopo ore di ripetizioni private, ho rifatto la parte di matematica del test di ammissione! Il mio punteggio iniziale non era sufficiente e non mi sarebbe stato consentito dare alcuni esami obbligatori: arrivavo dal liceo classico, a quei tempi mi mancavano le basi. Non sapevo nemmeno cosa fosse un logaritmo.
All’università ho tirato fuori la grinta. Sono stata tenace e ne sono stata ripagata: ho capito che avrei potuto ottenere qualsiasi cosa impegnandomi a fondo. Pur essendo una persona nella media, mi sono data da fare e ho raggiunto gli obiettivi che mi ero fissata.
Sono soddisfatta dei risultati ottenuti. L’unico rimpianto è di non poter dar maggiormente sfogo alla mia creatività. Per questo motivo scrivo. Lo faccio per passione, come passatempo. Scrivere mi permette di utilizzare le parole e di spaziare con la fantasia.
Sei mai stata vittima del Gender Gap?
Il Gender Gap in termini di sperequazione di salario è una costante che ho affrontato. Anche ora, che lavoro in una grande azienda e che il tema è discusso in maniera trasparente, sussiste Gender Gap: lo ha affermato il nostro CEO in una conferenza dedicata. Lo ha quantificato in una percentuale del 18%. Qui però c’è una leadership piuttosto illuminata e questo fa la differenza. Lo si vede anche dal fatto che, ogni mese, viene affrontato il tema in plenaria.
In uno degli impieghi precedenti il Pay Gap era evidente ma non dichiarato: sebbene sulla carta il livello salariale fosse lo stesso per uomini e donne, agli uomini venivano dati bonus e premi, mentre e a noi donne no.
Nella stessa azienda, ho vissuto il Gender Gap anche come pregiudizio nei confronti miei e di altre colleghe donne: gli uomini ritenevano che usassimo la nostra femminilità per ottenere favoritismi.
Purtroppo, in quell’occasione, la situazione è degenerata in una grave violazione della mia privacy: non ho piacere a parlare di questo fatto. Tuttavia, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che mi ha portato a cambiare azienda.
Cosa possiamo fare, come donne, per abbattere il Gender Gap?
Ecco cosa possiamo fare, come donne, per abbattere il Gender Gap: innanzitutto dobbiamo evitare di auto-sabotarci. Dobbiamo credere nelle nostre capacità e smetterla di nasconderci dietro alibi e pregiudizi.
Per esempio, io ho un bambino di quasi due anni e lavoro a tempo pieno. Mio marito avrebbe voluto che, alla sua nascita, io mi dedicassi al lavoro con orario part-time. Ho dovuto far valere le mie ragioni, per non cadere in un classico esempio di gender gap. A me piace lavorare. Aiuto maggiormente la mia famiglia garantendo uno stipendio pieno e mantenendo una certa gratificazione professionale.
Sicuramente, la possibilità di fare smart working giova alla gestione del tempo oltreché poter ridurre e abbattere, in qualche modo, il gender gap. Poi, mi avvalgo di baby-sitter, perché non dispongo dell’aiuto dei nonni.
Se si presenterà la necessità di chiedere una riduzione d’orario lo farò, ma solo quando mi renderò conto che questa è l’unica scelta per il benessere di mio figlio. Non ho intenzione di chiedere il part-time spinta da mio marito, che pensa che io necessiti di maggior tempo libero per la casa. Tra l’altro, non mi piace proprio fare le pulizie! Impiegherei il mio eventuale tempo libero per cercare un corso d’inglese.
Come donne, non dobbiamo farci guidare da quelle voci, tipicamente italiane, che affermano che l’accudimento dei figli e dei genitori anziani è solo nostra responsabilità, aumentando e non abbattendo di certo, il gender gap. Certamente, aiuterebbero sia più eque politiche di lavoro per le donne, sia una riduzione degli oneri fiscali per le aziende, che sono spesso sottodimensionate e in difficoltà in caso di assenza prolungata per maternità.
Il cambiamento per abbattere il gender gap deve essere culturale. Non vedo perché, per esempio, non possa prendersi il part-time mio marito. Lui è molto più bravo di me nella gestione della casa. Nei Paesi Scandinavi c’è una maggiore conciliazione dei ruoli genitoriali e lavorativi: marito e moglie condividono la cura dei figli e questo garantisce una più alta partecipazione femminile alla forza lavoro, al contrario dell’Italia.
Maria Angela Iaconis e LeROSA: cosa ti piace del progetto?
L’intento del progetto LeROSA è nobile, per questo mi piace. Ne sposo in pieno la mission e ammiro Giulia Bezzi per la costanza e determinazione nello stimolare le donne della Community. Apprezzo la schiettezza e la spinta a non auto-sabotarsi.
Vedo diverse donne che tendono a lamentarsi della propria situazione, ma non far niente per migliorarla e abbattere il gender gap . In molte decidono di rinunciare ai propri desideri perché si sentono responsabili per i familiari. In LeROSA si cerca d’infondere fiducia nelle proprie capacità e di spingere all’azione: prima di qualsiasi altra cosa si educa all’ascolto e alla collaborazione, senza piangersi addosso.
Io sono stata fortunata perché la mia famiglia mi ha supportato e mi ha trasmesso un valore molto importante, quello dell’indipendenza, che non tutte le donne hanno. LeROSA lavorano per dare un’opportunità di crescita a tutte, generando consapevolezza.