Intervista a Miriam Orlandi, motociclista
La mia intervista a Miriam Orlandi vi porterà a conoscere una motociclista d’eccezione, una donna che ha compiuto un’impresa davvero coraggiosa: partire per un lungo viaggio in solitaria in sella alla sua moto. Un viaggio durato ben 23 mesi in cui ha attraversato 22 nazioni delle tre Americhe, percorrendo oltre 52.000 km su una BMW R100 GS.
Ho conosciuto Miriam in occasione dell’evento Il Tempo delle Donne tenuto nell’ottobre 2015 alla Triennale di Milano. Avevo partecipato ad una conferenza sulla leadership al femminile quando vidi in programmazione un incontro dedicato alle donne motocicliste, la Women Rider’s Night organizzato da Sara Gandolfi del Corriere della Sera.
Incuriosita, decisi di partecipare. Non salivo su una moto da oltre otto anni ma il mio amore per le due ruote non si era affievolito e quando vidi in una sola sala oltre un centinaio di centaure, mi sentii davvero estasiata. L’argomento verteva proprio sull’esponenziale crescita del pubblico femminile nel mondo motociclistico degli ultimi anni e di quanto le donne fossero riuscite a distinguersi in un panorama prevalentemente maschile. Tre erano le special guest della serata e tra queste Miriam che raccontò la sua esperienza in questo viaggio.
Ne fui subito rapita. La gioia che trasmetteva nel narrarlo era contagiosa e, con molta timidezza, non potei non chiederle un autografo. La sua avventura mi fece riflettere molto, non solo su quanto la moto rappresentasse per lei ma soprattutto quanto questo viaggio la avesse arricchita come persona. Quella sera decisi che sarei risalita in sella alla mia moto anche io.
“Ciao ragazzi, ioparto”, scrisse di fretta nel forum di amici motociclisti poco prima di partire, e quel “ioparto” come parola unica divenne il titolo del libro in cui documentò l’intero viaggio. Non è un romanzo, è la storia vera di un’avventura fatta di panorami spettacolari, popoli, povertà, ma anche di paure, insicurezze, disavventure, pericoli, ripensamenti e momenti di solitudine che lei stessa ha dovuto affrontare.
I problemi alla dogana, i guasti alla sua moto (la “Cocca” come la chiama lei), la mancanza di viveri, il freddo e l’altitudine, solo per citarne alcune, hanno davvero temprato il suo spirito. Ciò nonostante, la cosa più bella che traspare da quelle pagine è la solidarietà, il senso di comunità, di collaborazione e di sostegno e ospitalità che ha dato e ricevuto con sincerità da tutte le persone che hanno colorito il suo percorso.
Ho proposto a Miriam questa intervista per conoscere meglio chi è, raccontarci la sua passione per la motocicletta e soprattutto sapere cosa ha rappresentato per lei questo viaggio che possa esserci di ispirazione.
Com’è nata la tua passione per le motociclette?
Avevo 7 anni quando un amico di papà arrivò con una verdissima Kawasaki z1000. Mi innamorai di quella scritta scintillante e la linea oro che correva morbida lungo il serbatoio. Me ne dimenticai fino a che all’età di 18 anni quando un amico mi fece provare, più per scherzo che seriamente, la sua RC600 ed io partii in sella a quella “motorona”. Feci 2 km, scesi e dissi: “domani ne compro una”. E così fu.
Cosa ti ha spinto a intraprendere un viaggio da sola in un paese straniero?
La curiosità, la voglia di fare un lungo viaggio senza interruzioni. Vedere il panorama cambiare, le culture, i popoli.
Quali erano le tue aspettative riguardo a questo viaggio?
Mi attendevo un popolo da aiutare, una povertà che mi avrebbe fatta sentire ricca ed invece, ho scoperto l’umanità: le diversità che ti arricchiscono, le opinioni che incuriosiscono ed i cibi, i climi, gli animali.
Come ci si organizza per un viaggio di questo tipo?
Ah no, non ci si organizza. Ogni giorno una nuova tappa senza meta. Ogni giorno scopri dove mangiare e dove dormire. È bellissimo non avere meta.
Quali sono state le situazioni più difficili e come le hai vissute?
Sai una cosa? dopo tutti questi anni le situazioni difficili si sono trasformate nel ricordo di chi mi ha aiutata, nell’insegnamento appreso.
Comunque per rispondere alla tua domanda, i guasti alla moto, soprattutto il primo, mi mandavano in panico. La mia Cocca (così chiamo la mia moto) era le mie gambe, era il mezzo per riuscirci, era racchiuso in lei tutte le mie speranze ed i miei sogni, ed ogni volta che si rompeva li temevo persi. Ho imparato poi che non è lei ma sono io che raggiungo i miei sogni.
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Come questo viaggio ha influito sulla tua vita di donna?
Non lo so. Non so come avrebbe influito se fossi stata un uomo. So solo che io, Miriam Orlandi, ora mi sento più fiduciosa in me stessa. So solo che credo meno a tutto quel che mi raccontano ed uso di più il buon senso e le mie conoscenze. Applico quel che so alla vita anziché nutrirmi delle informazioni esterne.
Qual è il ricordo più bello che ti accompagna ancora oggi?
Maria. Una bimba boliviana, del lago salato di Uyuny, sogno ancora di rincontrarla. Voleva giocare con me, mi tirava i pantaloni. Io credevo volesse soldi, invece voleva mostrarmi il suo cagnolino, avvolto in un vecchio maglione. Voleva una foto con me, ancor oggi la conservo, sfuocata, sbiadita, ma Maria è il ricordo più bello.
Tenendo conto delle difficoltà che hai dovuto superare, qual è il messaggio che ti senti di dare alle nostre lettrici?
I pericoli sono reali, le paure sono mentali. Se riuscite a distinguere queste due cose, allora potete fare tutto quel che volete e potete.
“E pensare che tutto è nato da un sogno, un sogno infantile”, come lei stessa scrive nelle primissime pagine del suo libro.
La chiacchierata che abbiamo fatto poco prima dell’intervista mi fa apprezzare ancora di più questo suo ultimo pensiero. Miriam aveva un sogno e non ha mai smesso di crederci. È riuscita a realizzarlo nonostante molti le dicessero che non ce l’avrebbe mai fatta. Il suo coraggio le ha dato ragione e oggi continua a seguire il suo desiderio di avventura in tanti altri progetti, partendo in solitaria con la sua amata due ruote e tornando con un ricco bagaglio fatto di relazioni ed esperienze nuove.
Non dobbiamo essere tutte viaggiatrici solitarie e neanche motocicliste, ma nelle battaglie di ogni giorno, avere la consapevolezza di potercela fare e superare le nostre paure mentali, è la nostra soddisfazione più grande.