Pianto del neonato: come gestirlo e cosa fare
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La comunicazione emotiva, soprattutto il pianto del neonato, è la principale caratteristica degli individui dotati d’intelligenza emotiva. Per imparare questa comunicazione i genitori devono imparare un nuovo modo di comunicare: il linguaggio segreto.
Questo permetterà di comprendere il messaggio celato dietro un pianto e di crescere i propri figli più sicuri e capaci di gestire, oltre che distinguere, le proprie emozioni.
Pianto del neonato: quando preoccuparsi
Tutto ha inizio quando un bambino viene al mondo, sembra assurdo, ma la mamma per capire il proprio figlio deve imparare a comprendere il suo linguaggio comunicativo, l’unico che conosce: il pianto.
Nessuno ama sentir piangere. Ci sono genitori che vanno in ansia o percepiscono uno stato di rabbia interiore davanti al pianto. Perciò la primissima cosa da fare è osservarlo: prestare attenzione al pianto del neonato per alcuni minuti al giorno può farvi comprendere molti aspetti di vostro figlio.
Per tre minuti al giorno, osservate il vostro bambino. Guardate i suoi movimenti, ogni parte del suo corpo, considerate tutti i fattori intorno a lui (luci, suoni, colori, temperatura, rumori); questo può farvi comprendere cosa piace e cosa lo infastidisce, quando ha fame e quando ha sonno. Prestate attenzione al suono del suo pianto, non trascuratelo perché da questo comprenderete lo stato emotivo del vostro bebè e le sue richieste.
Il pianto non è mai piacevole, ma alcuni neonati emettono strilli; preoccuparsi è giusto quando piange più di tre volte al giorno, ha un pianto eccessivo più di tre volte a settimana e si protrae per un periodo lungo in bambini che risultano sani.
Quali caratteristiche definiscono un pianto eccessivo?
- il pianto insorge senza preavviso con lieve intensificazione;
- gli strilli non tendono a calmarsi anche dopo averlo preso in braccio;
- il neonato contrae gambe e ginocchia, il viso diventa rosso e sembra che trattenga il respiro;
- il neonato è inconsolabile.
Le cause del pianto eccessivo che si trasforma in strilli sono le coliche o i dolori all’addome, paragonati alle emicranie degli adulti.
Il pianto, come ogni piccolo gesto di un bambino, va compreso in senso profondo. A ogni gesto corrisponde un significato preciso che aiuta a rispondere in modo adeguato al neonato considerando anche il momento in cui fa quel determinato gesto.
Di seguito ho riportato i gesti associati al pianto più usuali con il loro relativo significato:
- Agita le braccia avanti e indietro: segno di frustrazione o rabbia.
- Fissa o indica: desiderio di possedere quell’oggetto o di muoversi in quella direzione.
- Braccia rigide lungo i fianchi: segno di ansia o paura.
- Mani sugli occhi: segno di ansia o paura.
- Si massaggia o strofina le mani: segno di ansia.
- Si mordicchia o si succhia le dita: è un gesto piacevole ma dopo i dodici mesi può significare ansia.
- Contatto visivo prolungato: vuole giocare.
- Contatto visivo interrotto dopo uno sguardo fisso: vuole stare un attimo tranquillo.
- Testa inclinata: segno amichevole, affettuoso che può richiedere un invito al gioco.
- Sbatte i piedi: dopo i dodici mesi è essere frequente questo gesto, può significare rabbia o voler attrarre l’attenzione.
- Agita le braccia e batte le mani: segno di gioia.
Come calmare il pianto di un neonato
Il linguaggio segreto di un bambino implica anche un altro fattore per i genitori: gestire il pianto sinonimo di protesta. Come mai è difficile saper dir di no? Perché diventa difficile allontanare la rabbia che ci procura questo pianto così prolungato?
Dopo la nascita di un bambino, soprattutto le mamme provano sentimenti primitivi, dimenticati che richiamano quelli provati da bambine nei confronti dei loro stessi genitori. Per questo sono pronte a placare il pianto del proprio figlio.
La verità è che diventa difficile gestire il dolore che provoca questo pianto sperando che sia il bambino a fornire la soluzione. L’interpretazione che darà la mamma, sarà l’idea del proprio disagio. Il pianto entra dentro il proprio corpo, risuona in ogni parte scatenando reazioni fisiologiche identiche a quelle suscitate da bambine.
Il vissuto di ognuno influenza le nostre reazioni, quindi è fondamentale considerare le emozioni e i pensieri che suscitano il pianto del proprio figlio.
Esso può comunicare:
- un rimprovero che vi fa pensare di non essere buone madri;
- rabbia che vi fa sentire in colpa per come vi siete comportate facendovi sentire inadatte, insicure;
- sofferenza difficile da gestire che può suscitare panico in voi. In questo caso, il bambino percepisce il vostro sentire e prova paura acuendo di più il suo pianto.
Il modo con cui affrontiamo i sentimenti suscitati dal pianto del bambino, influenzeranno le risposte emotive e gli trasmetteranno uno stato ansiogeno o meno rafforzando le sue paure.
Diventa difficile comprendere i sentimenti ma non impossibile, per cui prima di farsi prendere dal panico provare a scorrere la gamma di possibilità che rispondano al suo bisogno. Quando sarà chiaro, chiedetevi quale pensiero ha generato quel pianto, quale convinzione nasconde, quale emozione riporta alla mente.
Portare alla luce della nostra coscienza ciò che è in ombra può aiutare ad affrontare con più sicurezza questi momenti.
Come gestire il pianto di un neonato
Insegnare al bambino come calmarsi quando è arrabbiato è un altro obiettivo della comunicazione emotiva, anche la più difficile da gestire per genitori e bambini.
Nei primi mesi di vita i genitori hanno il compito di rispondere tempestivamente al pianto del neonato affinché possa percepire la loro presenza costante quando ha realmente bisogno.
Verso il quinto mese di vita il bambino dovrà cominciare a sentirsi più sicuro di sé: se questa possibilità viene negata non potrà sperimentare la possibilità di tranquillizzarsi senza il vostro intervento.
L’autotranquillizzazione è essenziale per gettare le basi per il controllo emotivo e l’autodisciplina. Gli scienziati affermano che nei bambini che imparano a controllare le emozioni nei primi anni di vita, il cervello subisce dei cambiamenti. L’amigdala, ghiandola preposta al controllo emotivo, si comporta in maniera diversa nei bambini che sanno autotranquillizzarsi.
Il cervello si abitua a controllare le sostanze biochimiche associate allo stress emotivo a differenza dei bambini che continuano a dipendere dai genitori predisponendosi a rischio di alterazioni emotive e comportamentali in età adulta.
Insegnare a un bambino ad autotranquillizzarsi significa fargli un grande regalo che gioverà in futuro; è un percorso graduale che richiede costanza nell’insegnamento del linguaggio segreto trasmettendogli sempre la vostra disponibilità e presenza come genitori.
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Per insegnare al neonato questo nuovo comportamento, il pediatra statunitense Williams Sammon spiega il processo di gestione del pianto in cinque fasi:
- fase 1: quando il bambino piange, osservatelo cercando di capire il perché del suo pianto, leggete i suoi segnali e accertatevi che vada tutto bene.
- Fase 2: aspettate un minuto circa e iniziate a sussurrargli dolcemente delle paroline. Questo è un modo molto confortante di fargli capire che ci siete senza garantirgli un conforto totale. La sera prima di addormentarsi, potete sedervi accanto al suo lettino e cantare una dolce ninna nanna; la voce della mamma è un calmante naturale.
- Fase 3: in questa fase è importante che il bambino vi veda, potete anche decidere di appendere una vostra foto o di persone a lui vicine, nella cameretta in modo da poterla osservare quando non siete con lui. Questo gli permette di costruirsi un’immagine nella sua mente e di tranquillizzarsi quando non siete presenti. Potete anche dargli un oggetto morbido che abbia il vostro odore, è il primo ricordo che il bambino ha appena nato.
- Fase 4: se il bambino continua a piangere, massaggiategli la schiena sempre parlandogli con estrema dolcezza. Evitate di prenderlo in braccio perché questo comportamento gli comunica la vostra totale presenza e la fiducia che avete in lui di gestire questi momenti.
- Fase 5: se il bambino continua a piangere, prendetelo in braccio, consolatelo e una volta tranquillizzato, riponetelo nel suo lettino.
La voce, il massaggio, le carezze, il linguaggio del corpo comunica al bambino che va tutto bene e che è arrivato il momento di dormire trasmettendogli il messaggio che lo amate ma che non potete stare tutto il tempo al suo fianco. Ovviamente è un messaggio in cui dovete credere prima voi stesse per poi trasmetterlo.
Amare un bambino significa anche porre dei limiti in funzione del proprio ruolo di persona che ha anche bisogno di ricaricare la propria energia. Una relazione sana con il vostro bambino si costruisce anche attraverso il tempo che dedicate a voi stesse: più ne terrete conto, più la relazione sarà di qualità. Questo è un esercizio che richiede un po’ di tempo ma dal quale otterrete ottimi benefici sia voi che il vostro bambino.