Industrie culturali e creative: cosa sono?
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Avete mai sentito parlare delle industrie culturali e creative? Se le avete già sentite nominare ma non sapete bene come inquadrarle, questo articolo fa al caso vostro. Scopriremo cosa sono, come contribuiscono al PIL italiano e quali sono i bandi e i finanziamenti per sostenerle.
Quali sono le industrie culturali e creative
“Con la cultura non si mangia!”, dice qualcuno. “La cultura è il petrolio dell’Italia!”, affermano altri. Due luoghi comuni di segno opposto che banalizzano il ruolo svolto della cultura e della creatività come motori di sviluppo, investimenti e occupazione.
Ma cosa sono le industrie culturali e creative? Le industrie culturali e creative comprendono sia le arti tradizionali come la pittura, la danza, la letteratura, la musica, sia discipline come il cinema, il design, la moda e l’artigianato. I prossimi paragrafi presenteranno brevemente le caratteristiche di ciascuno di questi settori.
Design
Quando si parla di design, ci si riferisce di solito al design industriale, ossia all’attività di progettazione di oggetti, prodotti o strumenti di uso quotidiano che integrano tecnica, estetica e funzionalità. A volte si pensa ad un prodotto di design come ad un oggetto bello ma poco funzionale: niente di più sbagliato. “Se non è funzionale, non è design”: tutti i professionisti che lavorano nel settore con cui ho avuto a che fare continuano a ripetermelo.
In tema di design industriale, uno degli ambiti principali da considerare è quello del design d’arredo: mobili, complementi, lampade e le luci. Secondo i dati pubblicati dal CSIL, il Centro Studi per l’Industria Leggera, il commercio internazionale di mobili nel 2018 e nel 2019 ha raggiunto un valore di 150 miliardi di dollari.
L’Italia è tra i primi cinque paesi esportatori, insieme a Cina, Vietnam, Germania e Polonia. Il fatturato dell’industria del mobile nel nostro Paese raggiunge i 23 miliardi di euro (dati Intesa San Paolo 2019). Tra produttori di mobili e aziende di filiera, il settore comprende più di 18.000 aziende e dà lavoro a oltre 130.000 persone.
Un altro ambito di rilievo quando si parla di design industriale è quello dell‘automotive design. A questo punto, però, è necessaria una specifica: di solito si fa coincidere il termine con quello di design di automobili, quando invece la sua accezione è ben più ampia. Infatti, l’automotive design non si limita a definire la linea di un veicolo, ma opera per ricercare soluzioni innovative di mobilità, un’abitabilità più funzionale, una maggiore ergonomia ecc. Avete presente i segway o i monopattini di ultima generazione? Ecco due esempi di cosa si intende per automotive design.
Gli ambiti di sviluppo e ricerca del design sono davvero moltissimi, dal design navale ed aeronautico al packaging, fino ai settori di più recente evoluzione come il design della comunicazione e il food design. Si tratta di un settore in continua evoluzione, che sempre più spesso collabora con altre industrie culturali e creative: moda, artigianato, arti performative.
Moda
L’industria della moda comprende tutte le attività che rientrano nei settori aggregati del comparto tessile, dell’abbigliamento e degli accessori. Non solo abiti, scarpe e borse, dunque, ma stoffe, occhiali, gioielli. Secondo i dati proposti da Euromonitor nel 2018, il giro d’affari del settore è pari a oltre 1.400 miliardi di euro su scala globale. In Italia le cifre presentate lo scorso anno dalla Camera Italiana della Moda all’ultima edizione della Settimana della Moda di Milano indicano un fatturato complessivo di oltre 90 miliardi di euro, considerando anche i settori collegati.
L’industria della moda negli ultimi decenni ha accelerato: più prodotti disponibili sul mercato, diminuzione dei prezzi, più collezioni proposte nello stesso anno. Solo per citare alcuni dati, nel periodo tra il 2000 e il 2016 la produzione di abbigliamento e accessori è raddoppiata e il numero di capi acquistati ogni anno dai consumatori è salito in media del 60% (dati McKinsey). Oggi le vendite sono aumentate di quattro volte rispetto a vent’anni fa: un dato che riassume bene la situazione del mercato.
Ad abitudini di consumo sempre più veloci corrisponde un marcato impatto ambientale dell’industria della moda. Ecco alcuni dati (fonti WWF e Nazioni Unite 2017 – 2018):
- Le emissioni di CO2 prodotte dal settore sono pari al 10% delle emissioni su scala globale.
- Per produrre una t-shirt servono 700 litri d’acqua, ossia il fabbisogno idrico di una persona per tre anni.
- Il 72% dell’abbigliamento è composto da fibre sintetiche, come poliestere e nylon, per la cui produzione viene impiegato ossido di azoto, un gas serra.
- L’85% dei vestiti prodotti finisce in discarica e solo l’1% viene riciclato.
Oggi l’industria della moda sembra prendere coscienza della situazione: grazie all’intervento di nomi come Giorgio Armani o Alessandro Michele, direttore artistico di Gucci, il settore sta vivendo un’evoluzione verso nuovi modelli di consumo. Quali sviluppi dobbiamo aspettarci?
- Sistemi di produzione più rispettosi dell’ambiente, anche grazie alle abitudini di acquisto dei giovani: il 26% dei ragazzi sotto i 30 anni dichiara di essere disposto a spendere di più per acquistare capi sostenibili (Dati McKinsey).
- Filiera di produzione tracciabile e maggiore sostenibilità, dalla scelta della materia prima al packaging: criteri che finora erano adottati dai piccoli marchi o dai laboratori artigianali diventano linee guida per le grandi case di moda.
- Un rallentamento della produzione, con meno collezioni prodotte e presentate in un anno, per diminuire l’invenduto destinato alla discarica e sensibilizzare il consumatore verso abitudini di consumo più critiche.
- Una riscoperta della moda usata, tra mercatini e negozi di vestiti e accessori second-hand, un settore che nel 2019 ha fatto registrare vendite per 24 milioni di dollari (dati CNBC).
Dalle grandi griffe ai laboratori artigianali, il settore del fashion più di altri è influenzato dai mutamenti sociali e culturali. In un momento storico in cui – per fortuna – l’attenzione alla sostenibilità sembra farsi più concreta, la moda ha il potenziale per rafforzare questa evoluzione e darle maggiore visibilità.
Artigianato
Includere l’artigianato nelle industrie culturali e creative significa concentrare l’attenzione sull’artigianato artistico. In questo settore, attività e imprese creano prodotti con un elevato valore estetico, utilizzando soprattutto tecniche manuali ad alta specializzazione.
Confartigianato ha condotto una ricerca approfondita sulle dimensioni e sulle caratteristiche del settore in Italia: alla fine del primo trimestre 2019 le imprese dell’artigianato artistico erano 288.300 e davano lavoro a 800.000 persone. L’analisi prosegue individuando i principali gruppi di imprese del settore, per numero di imprese e di addetti: lavorazione artigianale dei metalli, settore alimentare, abbigliamento, lavorazione del legno.
Se pensiamo alle botteghe storiche dei nostri borghi o delle nostre città, appare evidente che quasi sempre l’artigianato artistico è collegato al territorio. Le ceramiche artistiche venete, la grande arte della liuteria cremonese, la cartapesta leccese sono solo alcuni degli esempi possibili. Si tratta di un patrimonio storico di esperienze e competenze ad alto valore aggiunto da conservare e tramandare, aperto a collaborazioni con altri settori economici: turismo, agricoltura e silvicoltura, per citarne alcuni.
L’artigianato artistico affonda le proprie radici nel passato, ma è capace di cogliere le opportunità offerte dagli sviluppi tecnologici più recenti. I profili professionali si rinnovano, e allora ecco il gioielliere che progetta e stampa le proprie creazioni in 3D, oppure il liutaio che regola la tensione delle corde con sofisticate strumentazioni elettroniche.
La Carta Internazionale dell’artigianato artistico, siglata nel 2011, riconosce pienamente sia il valore storico e culturale delle imprese artigiane sia la loro capacità di rinnovarsi nel tempo, anche collaborando con settori diversi. Ritroveremo quest’ultima caratteristica, comune a tutte le industrie culturali e creative, anche nei settori che esamineremo nel prossimo paragrafo.
Arti visive, performative, musica, letteratura
Qui arrivano i pezzi da novanta: parliamo di pittura, teatro, musica, opere letterarie e molto altro.
Le arti visive comprendono qualunque forma artistica abbia come risultato un oggetto visibile: la definizione è molto ampia, e include discipline come la pittura, il disegno, la scultura, la fotografia, l’architettura. Le imprese di settore, oltre agli artisti, ai fotografi, agli studi di architettura, comprendono anche musei e gallerie d’arte, ossia gli spazi che permettono la fruizione delle opere.
Si definiscono invece arti performative tutte quelle forme d’arte in cui l’artista si esibisce di fronte ad un pubblico: il teatro, la danza, il musical e le arti circensi, ad esempio.
La musica è un altro ambito vastissimo: pensate soltanto a quanti diversi generi musicali esistono: rock, pop, musica classica, rap, country, ecc… In Italia, nei primi sei mesi del 2019, il mercato dell’industria musicale ha fatto registrare ricavi per 89 milioni di euro (dati FIMI), soprattutto grazie alle piattaforme di streaming.
Parlando di letteratura va considerata l’intera filiera editoriale: gli autori, ovviamente, ma anche le case editrici, le stamperie, le librerie e i traduttori letterari (a proposito, lo sapevate che anche i traduttori vengono considerati scrittori? Provate a leggere la traduzione di un romanzo che avete letto in una lingua che conoscete bene e capirete perché).
E il cinema? C’è chi lo colloca tra le arti visive, chi nella categoria delle arti performative. In realtà l’industria cinematografica è l’esempio perfetto di come le industrie culturali e creative collaborino tra di loro. Pensate a quanti professionisti lavorano alla realizzazione di un film: registi, attori, sceneggiatori, costumisti, musicisti… e lo stesso vale per gli spettacoli teatrali, per i musical e per molte altre opere d’arte.
La cooperazione tra diversi settori è una delle caratteristiche fondamentali delle industrie culturali e creative. Alcuni nuovi profili professionali lavorano mettendo le loro competenze a disposizione di diversi ambiti artistico culturali. Un esempio? Il sound designer, che utilizza gli strumenti digitali per creare musiche e colonne sonore su misura per eventi, sfilate di moda, vernissage.
Nuove professioni come questa hanno potuto svilupparsi soprattutto grazie alle tecnologie digitali: sono loro a traghettare le industrie culturali e creative nel futuro, creando nuove forme d’arte e permettendo ad artisti, creativi e professionisti di raggiungere un pubblico sempre più vasto.
Quanto sono importanti per il PIL in Italia
Secondo i dati pubblicati dalla Commissione Europea nel 2019, il settore culturale e creativo in Europa contribuisce per il 4,2% del PIL e dà lavoro a 12,5 milioni di persone.
Le cifre del mercato italiano delle industrie culturali e creative, però, si collocano al di sopra della media europea, e il risultato non stupisce. Perché? Considerate solo un dato: l’Italia è il paese con il maggior numero di siti patrimonio dell’umanità UNESCO, insieme alla Cina. Ora, la Cina ha una superficie di nove milioni e mezzo di chilometri quadrati, contro i 300.000 chilometri quadrati del nostro paese: ho reso l’idea?
Il rapporto “Io sono cultura” fotografa ogni anno la situazione delle industrie culturali e creative nel nostro paese. Lo studio, pubblicato da Fondazione Symbola in collaborazione con Unioncamere, è una perfetta cartina di tornasole per il settore. L’ultimo rapporto disponibile risale alla fine del 2019: ecco i dati principali:
- Il sistema produttivo culturale e creativo nel 2018 ha generato il 6,1% della ricchezza prodotta in Italia: 95,8 miliardi di euro (dato in crescita del 2,9% rispetto al 2017).
- Per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori: uno straordinario effetto leva, per un totale di 265,4 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, turismo in primis.
- Il sistema produttivo culturale e creativo da solo dà lavoro a 1,55 milioni di persone, ossia il 6,4% del totale degli occupati in Italia.
Parlando del nostro paese, c’è un comparto delle industrie culturali e creative che assume un particolare valore: si tratta – ovviamente, verrebbe da dire – dei prodotti di lusso. La moda, l’artigianato di alta gamma, le eccellenze agroalimentari sono settori trainanti per l’economia italiana e in particolare per l’export.
Non tutti i prodotti citati sono collegabili alle industrie culturali e creative: vanno riconosciuti, in ogni caso, un’ampia sovrapposizione tra i due settori e un impatto economico rilevante del comparto del lusso. Secondo i dati pubblicati nel luglio scorsa da Altagamma, l’associazione che riunisce i marchi più prestigiosi del Made in Italy, nel 2019 il settore ha dato lavoro a oltre 400.000 persone nel nostro paese, con un valore economico prodotto pari a 115 miliardi di euro, ossia il 6,85% del PIL.
Un’annotazione: le cifre presentate in questo paragrafo e in quelli precedenti non considerano la situazione di difficoltà delle industrie culturali e creative dovuta alla crisi del COVID-19. L’elaborazione dei dati di settore più recenti, ancora in corso, dovrà utilizzare metodi di analisi che consentano di tener conto dell’eccezionalità del momento.
A quali bandi e finanziamenti possono accedere
Non è facile offrire una panoramica esaustiva dei finanziamenti a fondo perduto o a tasso agevolato che possono sostenere le imprese o i progetti nel settore delle industrie culturali e creative. Conviene andare per gradi, esaminando prima i finanziamenti europei, poi le opportunità a livello nazionale e infine i fondi disponibili in ambito locale.
Il programma principale promosso della Commissione europea per finanziare progetti in ambito culturale e creativo è Creative Europe. Si tratta di un programma che, con nomi diversi, viene rifinanziato ed ampliato costantemente dall’Unione Europea da quasi vent’anni. La misura più nota è il bando per finanziare progetti di cooperazione. Si tratta di un finanziamento a fondo perduto che sostiene la mobilità degli artisti, la circolazione delle opere d’arte, lo sviluppo di competenze di settore, le nuove forme di interazione con il pubblico.
I progetti finanziabili sono di due tipi:
- Progetti di cooperazione su larga scala: iniziative presentate da minimo 6 partner da 6 paesi diversi partecipanti al programma, con un budget massimo di 2.000.000 euro e un finanziamento da parte della Commissione Europea pari al 50%.
- Progetti di cooperazione su piccola scala: iniziative presentate da minimo 3 partner da 3 paesi diversi partecipanti al programma, con un budget massimo di 200.000 euro e un finanziamento da parte della Commissione Europea pari al 60%.
In generale, viene approvato circa il 30% dei progetti totali presentati (per i progetti su piccola scala). L’Italia è finora il paese europeo che ha presentato più progetti.
A livello nazionale, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo – MIBACT dedica diverse linee di finanziamento alle industrie culturali e creative. Ecco le principali:
- Finanziamenti per lo spettacolo: attraverso il Fondo Unico per lo Spettacolo, che ha un funzionamento piuttosto complesso, il MIBACT finanzia enti, istituzioni, associazioni e imprese che operano negli ambiti della musica, della danza, del teatro, del circo.
- Finanziamenti per le biblioteche e la promozione della lettura: tramite il CEPELL – Centro per il Libro e la Lettura, il Ministero sostiene progetti di biblioteche, scuole, comuni e altri enti che desiderano sviluppare progetti di promozione della lettura.
- Progetti di speciale interesse del MIBACT: sono progetti ideati dal Ministero in collaborazione con le regioni. Si tratta di eventi di rilievo che promuovono grandi eventi e manifestazioni sul territorio.
- Altri bandi che riguardano attività più specifiche: contributi per cori e bande, fondi per le rievocazioni storiche, bandi per la promozione della musica jazz ecc. Si tratta di bandi con cadenza perlopiù annuale e importi limitati.
A livello regionale, infine, possiamo operare una distinzione di comodo individuando tre diversi gruppi di finanziamenti:
- I finanziamenti accantonati dalle regioni per sostenere manifestazioni locali, dalle rassegne teatrali ai grandi eventi.
- I finanziamenti del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale: si tratta di finanziamenti erogati dall’Unione Europea ma gestiti dalle regioni. Sostengono gli investimenti delle aziende che operano in ambito culturale e creativo, ma anche progetti di cooperazione tra imprese culturali e creative e imprese turistico-ricettive.
- I finanziamenti delle fondazioni bancarie: molte fondazioni bancarie locali sostengono progetti di associazioni culturali senza scopo di lucro attive nel proprio territorio di riferimento.
Ho iniziato provocatoriamente l’articolo citando due affermazioni frequenti e superficiali riguardo alla cultura, ma lo scenario, come avete visto, è molto più ampio e articolato. Proprio per questo si parla di industrie culturali e creative: per mettere in evidenza l’ingegnosità, il valore economico e la complessità di un settore che, forse più di altri, ha saputo evolvere e adattarsi unendo tradizione e innovazione.