10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze
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Mi chiedono spesso quali sono le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze e, nonostante sia una domanda che fa sudare sulla neve, la mia risposta è sempre questa:
- La nascita di Venere di Botticelli.
- La Primavera di Botticelli.
- Scudo con testa di Medusa di Caravaggio.
- La Venere di Urbino di Tiziano Vecellio.
- Doppio ritratto dei duchi di Urbino di Piero della Francesca.
- Madonna del Cardellino di Raffaello Sanzio.
- Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna.
- Annunciazione di Leonardo da Vinci.
- Bacco adolescente di Caravaggio.
- Battesimo di Cristo di Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci.
Ovviamente le motivazioni di questa selezione sono tante, ma è importante che sappiate che le opere in elenco le ho scelte soprattutto sulla base delle seguenti caratteristiche:
- sono state capaci di influenzare la cultura artistica per secoli.
- Sono capisaldi di ispirazione e perfezione esecutiva.
- Lasciano ancora oggi a bocca aperta i milioni di visitatori che possono godere di un simile spettacolo. Grandi e piccini, esperti e non.
La nascita di Venere di Botticelli
La prima delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi è La nascita di Venere di Botticelli è collocata nella Sala 10-14, insieme a La Primavera, l’altro celeberrimo dipinto dello stesso pittore fiorentino, uno dei massimi rappresentanti del Rinascimento.
Si tratta di un’opera di grandi dimensioni, ben 172 x 278 cm, ed è databile al 1485 circa. Grazie alla testimonianza di Giorgio Vasari, sappiamo che questo dipinto, insieme a La Primavera, si trovava nella villa medicea di Castello, vicino Firenze.
È comunemente ed erroneamente conosciuta come il racconto della nascita di Venere ma, in realtà, narra l’arrivo a Cipro della dea della bellezza e dell’amore, sospinta dal vento Zefiro e da una figura femminile a lui abbracciata, forse la ninfa Clori o il vento Aura. Ad attendere Venere, con in mano un sontuoso mantello fiorito da farle indossare, è una delle Ore, simbolo del corretto alternarsi del tempo e delle stagioni.
La tecnica usata è quella della tempera magra su tela, che permette di ottenere colori limpidi e opachi, simili a quelli di un affresco. Ma la vera protagonista di questa, come di tutte le opere di Botticelli, è la linea, che evidenzia il contorno delle figure.
Osservando il dipinto, vediamo come il chiaroscuro diventa tenue, la profondità spaziale perde rigore in modo da enfatizzare al massimo la fluidità lineare delle figure. In questo modo, si consegna l’ideale di bellezza assoluta, tanto caro al neoplatonismo di cui Botticelli è il migliore interprete, ad un piano esclusivo, diverso dalla realtà, libero dalla materia e dall’atmosfera.
E guardate i capelli della dea, sono la perfetta dimostrazione del linearismo botticelliano, unico al mondo! E la dolcezza e la bellezza del suo volto, l’eleganza della posa, fanno per caso rimpiangere le copertine patinate con le dive moderne? Assolutamente no!
Attenzione però, nel dipinto c’è già un primo segnale della crisi spirituale e artistica che colpirà a breve l’artista, dopo la morte di Lorenzo il Magnifico e l’avvento di Girolamo Savonarola. Stilisticamente si vedono molto chiaramente alcune disarmonie, soprattutto nell’esecuzione del paesaggio e nella linea che inizia a spezzarsi e a perdere fluidità.
Consiglio vivamente di soffermarsi ad ammirare la delicatezza e la fattura di questo dipinto. Non ci sono scuse, le opere da non perdere sono solo 10 e avete tutto il tempo! Ricordate però di fare attenzione anche alle diversità, che vi ho spiegato, tra questa e le opere precedenti del catalogo di Botticelli.
La grande epoca di Lorenzo il Magnifico sta per concludersi e così anche l’ideale neoplatonico. Fate tesoro di questa informazione, è fondamentale!
Prima di passare alla prossima delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze, voglio rivelarvi chi ha prestato il volto alla Venere e ad altre opere del Maestro Botticelli.
Si tratta di Simonetta Cattaneo Vespucci, nobildonna genovese dal grande fascino e fonte d’ispirazione per letterati ed artisti, amante di Giuliano de’ Medici, fratello del Magnifico. Sì, proprio lui, il giovane Giuliano, che rimase ucciso durante la famigerata Congiura de’ Pazzi.
Riassumendo, La nascita di Venere di Botticelli è tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi perché:
- testimonia l’ideale di bellezza assoluta del neoplatonismo della corte di Lorenzo il Magnifico, di cui Botticelli è il migliore interprete.
- Propone il linearismo botticelliano, unico al mondo.
- Ha già in sè alcuni elementi della crisi spirituale e artistica che colpirà Botticelli e l’arte rinascimentale a Firenze dopo la morte di Lorenzo il Magnifico e l’avvento di Savonarola.
La Primavera di Botticelli
La Primavera di Botticelli è sicuramente una delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi e, insieme con La nascita di Venere, che è esposta nella medesima Sala 10-14 del museo fiorentino, è l’opera più famosa del grande pittore del Rinascimento.
Si tratta di un dipinto dalle dimensioni importanti, le cui misure sono 203 x 314 cm, ed è datato 1478-80 circa.
La tecnica usata è quella della tempera grassa su tavola, che rende il colore più viscoso, fluido e trasparente. Se avete letto, poco sopra, la mia analisi de La nascita di Venere, ricorderete la differenza con quest’opera, per la quale Botticelli invece usa la tempera magra su tela.
Come testimonia Giorgio Vasari, il dipinto si trovava, insieme con La nascita di Venere, all’interno della villa medicea di Castello, vicino Firenze. La scelta del tema e la sua esecuzione, rappresentano l’apice dell’adesione agli ideali del neoplatonismo della corte di Lorenzo il Magnifico, di cui Botticelli è il massimo interprete.
E questo basterebbe a sancirne la bellezza, l’originalità e ad inserirla di diritto tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze. Ma vediamo meglio quali sono le caratteristiche fondamentali dell’opera.
Guardando il dipinto, ci troviamo immediatamente di fronte ad una novità. Mentre solitamente le opere si leggono da sinistra a destra, ne La Primavera dobbiamo procedere al contrario, da destra a sinistra, probabilmente perché la collocazione originaria per cui era stata commissionata richiedeva questo.
La prima figura che incontriamo quindi, partendo da destra, è Zefiro, che insegue la ninfa Clori, da lui fecondata. La ninfa si trasforma in Flora/Primavera, mentre al centro troviamo Venere, con Eros impegnato a scoccare una freccia verso una delle Tre Grazie danzanti.
Infine, a sinistra, Mercurio allontana le nuvole con il caduceo, il bastone con ali e due serpenti attorcigliati, simbolo di pace e prosperità. E se vi state chiedendo dove avete già visto il caduceo, la risposta è semplice: lo vediamo nelle farmacie, sulle ambulanze, negli studi medici, perché è da sempre uno dei simboli più usati e rappresentativi in ambito medico.
Quale sia il significato de La Primavera è ancora oggi argomento di dibattito ma, la migliore interpretazione, che mi trova pienamente d’accordo, è che il dipinto rappresenti l’amore irrazionale e terreno che, grazie alla mediazione di Venere, diventa divino e spirituale.
L’ambientazione e la profondità spaziale sono appena accennate e la scena si compie in un bosco di aranci. Venere è il perno centrale e attorno a lei si dispongono le altre figure. Non c’è unità narrativa, ma formale e geometrica. Tant’è che unendo idealmente Cupido agli angoli in basso del dipinto, vediamo formarsi un triangolo.
Ma è l’intera opera a poter essere scomposta in forme geometriche, che garantiscono armonia all’insieme, grazie anche alla linea di Botticelli, che isola le forme dalla realtà per elevarle ad un piano di bellezza assoluta, lontana dalla materia corruttibile.
Provate a farlo anche voi, scomponete idealmente il dipinto in forme geometriche! Questo vi aiuterà a capire meglio l’opera che avete davanti. Ed è un suggerimento che è valido per molte opere d’arte. Non dimenticatelo!
Ma voglio scendere ancora più nel dettaglio e rivelarvi che nel dipinto sono raffigurate oltre 500 specie di piante e fiori. Proprio così! E molte erano presenti realmente nei giardini delle ville medicee fiorentine e in parte lo sono ancora.
Vedete quanto è importante soffermarsi davanti a La Primavera e capite perché entra di diritto tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze?
Oltre alla bellezza oggettiva, alla scelta formale e ideologica, offre uno spaccato reale sulla botanica del tempo. Quindi ha una grande importanza storica e artistica, ma anche un alto valore scientifico.
Riassumendo, gli elementi che rendono imperdibile La Primavera di Botticelli sono:
- Completa adesione agli ideali del neoplatonismo, tanto cari alla corte di Lorenzo il Magnifico.
- Per la prima volta, la lettura dell’opera si fa da destra a sinistra.
- Non c’è unità narrativa ma formale e geometrica.
- È un esempio perfetto del linearismo botticelliano, che isola le forme dalla realtà per elevarla ad una dimensione di bellezza assoluta.
- La presenza di oltre 500 specie di piante e fiori.
Scudo con testa di Medusa di Caravaggio
Impossibile non fermarsi ad ammirare lo Scudo con testa di Medusa di Caravaggio, che entra di diritto tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze. Si tratta di un olio su tela riportato su scudo di legno, del diametro di 55 cm e datato tra il 1596 e il 1598.
Fa parte quindi delle opere giovanili dell’artista e fu commissionato dal colto cardinale Francesco Maria Del Monte, protettore a Roma di Michelangelo Merisi da Caravaggio, città di origine della sua famiglia, da cui deriva il nome con cui l’artista è conosciuto nel mondo.
Lo scudo è parte di un regalo del cardinale per il caro amico Ferdinando I de’ Medici, granduca di Toscana.
Raffigura la testa di Medusa decapitata da Perseo, secondo il racconto della cultura classica, tanto amata e studiata dal Del Monte. La tradizione vede nelle sembianze della Gorgone l’autoritratto di Caravaggio, anche se non abbiamo la certezza che si tratti di un autoritratto.
Ma attenzione! Quello che si vuole rappresentare qui non è certo il racconto mitologico, bensì la metafora della sconfitta delle tentazioni, che rendono debole l’essere umano.
Ed essendo un regalo di matrimonio per il figlio del granduca, direi che la scelta tematica non fa una piega. Già immagino sposi, fidanzati, amanti che corrono a cercare una copia da regalare al partner, con un bel biglietto con un affettuoso quanto perentorio “Achtung amor mio!”
Ed è vero sì, che a scegliere il soggetto era stato il Del Monte, ma non dimentichiamoci che Caravaggio in quegli stessi anni, si era avvicinato molto al tema spirituale e morale.
Fu proprio grazie a queste riflessioni ed esecuzioni pittoriche, che maturò la sua inconfondibile concezione del realismo, che fa del Caravaggio uno dei più grandi artisti di sempre, amatisismo e conosciutissimo.
Ma perché, potreste chiedermi, è così amato? Semplice, perché ci mette con le spalle al muro di fronte alla realtà, nuda e cruda, bella o brutta che sia.
La stessa realtà da cui vorremmo scappare ma dalla quale siamo anche attratti, come fosse una calamita. Un po’ come quando nessuno è curioso, ma poi tutti spostano la tenda per vedere, o allungano le orecchie per sentire.
Non è l’essere umano attratto anche dalla realtà più spaventosa? Certo che lo è! Tutti lo siamo, chi più chi meno. Pensate alla cronaca nera, è sempre la pagina più letta, chissà perché. Anzi, lo sappiamo benissimo il motivo. Vi faccio un esempio pratico per capire meglio.
Se chiedessi a cento persone qual è la prima cosa che le ha colpite dello scudo con testa di Medusa, la risposta sarebbe sicuramente la stessa. A restare impressa nella mente, è l’espressione stravolta e contratta del viso, incorniciato da una terrificante chioma di serpenti e dallo zampillare del sangue.
Ne siamo turbati ma anche attratti, vorremmo voltarci ma continuiamo comunque a sbirciare. È così, l’essere umano è proprio così! E Caravaggio è amatissimo anche per questo.
Lo Scudo con testa di Medusa, dimostra che il Merisi era già pronto a dare la sua versione della realtà, ottenuta studiando le reazioni umane causate da violente sollecitaizoni fisiche o psichiche, ma anche dall’insegnamento che Leonardo da Vinci aveva lasciato a Milano.
Riassumendo, cosa rende lo Scudo con testa di Medusa una delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze?
- È un’opera giovanile in cui Caravaggio dimostra già la sua inconfondibile concezione del realismo.
- Testimonia il forte legame intellettuale e artistico tra Caravaggio e il cardinal Del Monte.
- Ci ricorda quanto il genere umano sia attratto dalla realtà, nuda e cruda.
La Venere di Urbino di Tiziano Vecellio
Una delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze è La Venere di Urbino di Tiziano Vecellio, un olio su tela di 119 x 165 cm, dipinto nel 1538 e conservato nella Sala 83.
Il quadro fu acquistato da Guidobaldo II della Rovere, duca di Urbino. È un’opera emblematica della ricca produzione del pittore veneto, perché vi si possono cogliere i primi segni di un nuovo orientamento e la volontà di adeguarsi al cambiamento culturale in atto in quegli anni. Vi spiego meglio questo aspetto molto importante.
Tiziano fu particolarmente influenzato dall’amicizia con Pietro Aretino, poeta, scrittore e drammaturgo. Da lui fu stimolato ad interessarsi alla cultura figurativa centro-italiana già presente a Venezia da quando, dopo il Sacco di Roma del 1527, ci fu la diaspora degli artisti e molti giunsero in laguna. Tra questi ne cito alcuni, ad esempio Jacopo Sansovino, Sebastiano Serlio e Giorgio Vasari.
La nuova ricerca di scorci particolari e torsioni audaci delle figure contagia anche Tiziano. Attenzione però, perché le nuove influenze a cui aderisce, non tolgono alle sue opere quel meraviglioso e sensuale naturalismo che ci incanta ogni volta. Ma leggiamo e analizziamo insieme la Venere di Urbino per capire questa transizione ed evoluzione stilistica.
La scena, collocata all’interno di un’ampia e fastosa camera da letto, vede al centro Venere nuda distesa sul letto, con un tenero cagnolino addormentato ai suoi piedi. L’atteggiamento della donna è spavaldo e provocante. Volge il suo sguardo verso lo spettatore, ben consapevole della sua nudità e della sua bellezza. Oggi tutto questo non fa scalpore, ma ricordiamoci che qui stiamo parlando del Cinquecento!
La dea ha in una mano un mazzolino di rose mentre con l’altra si copre il pube. Sul fondo scene di vita quotidiana, con due donne che rovistano dentro una cassapanca istoriata per scegliere gli abiti da far indossare alla dea. L’immagine raffigura infatti la Venere che sta per essere vestita per partecipare al “toccamano”. Si tratta di un’antica cerimonia domestica con la quale le fanciulle promesse spose, toccando la mano del futuro consorte, accettavano le nozze.
Ma guardate l’abilità di Tiziano nel tirar fuori le potenzialità espressive del colore, giocando sui contrasti per evidenziare alcuni dettagli. Per esempio, osservate il rivestimento rosso dei materassi con i ricami fioriti come viene sapientemente accostato al bianco del lenzuolo e dei guanciali.
E ancora, guardate il verde del tendaggio in alto come mette in risalto le carni dorate e luminose, il grazioso viso e i capelli biondo rame della dea.
Tiziano è uno dei massimi esponenti della scuola pittorica veneta del Rinascimento e un’opera come la Venere ci fa capire bene il perché.
Vi invito anche a notare come l’andamento bidimensionale del primo piano si interseca con quello tridimensionale sullo sfondo. La tenda è l’espediente usato per attirare lo sguardo su Venere, che è il fulcro dell’opera e il punto di massima tensione emotiva. Ma c’è un ulteriore spazio nel dipinto ed è quello che si trova al di là della finestra bifora, tipicamente veneziana, che lascia intravedere un bel tramonto dorato. Sul davanzale è raffigurato un vaso di mirto, la pianta tradizionalmente legata al mito di Venere.
Riassumendo, vediamo quali sono gli elementi che rendono La Venere di Urbino di Tiziano Vecellio una delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze:
- Tiziano inizia ad adeguarsi al cambiamento culturale in atto a Venezia in quegli anni.
- Permane comunque quello straordinario e sensuale naturalismo tipico delle opere di Tiziano.
- Possiamo ammirare l’abilità del pittore nel tirar fuori le potenzialità espressive del colore.
Doppio ritratto dei duchi di Urbino di Piero della Francesca
Il Doppio ritratto dei duchi di Urbino di Piero della Francesca è assolutamente da inserire nell’elenco delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze. Si tratta di un olio su tavola, di 47 x 33 cm per ciascun dipinto. L’opera è datata al 1473-75 circa ed è conservata nella Sala 8 del museo fiorentino.
Oggi lo vedete dentro una cornice moderna, ma quasi sicuramente in origine era un dittico, perché sul retro i duchi sono raffigurati mentre vengono portati in trionfo sui carri, accompagnati dalle Virtù. Le scritte, in latino, descrivono i valori che una coppia di sposi deve rispettare. È chiaro quindi che la parte dietro doveva essere visibile.
Federico da Montefeltro e la moglie Battista Sforza sono ritratti di profilo, nel rispetto dell’antica tradizione numismatica, che non lascia trapelare nessuna emozione.
I due volti sono messi in risalto dal paesaggio e dalla luce che arriva da dietro le spalle di Federico e va a colpire e sbiancare il volto di Battista. Questa può essere letta come una scelta stilistica per variare la composizione spaziale, ma potrebbe anche essere dovuta alla morte prematura della donna e alla volontà di non nascondere la malattia sui suoi tratti.
L’opera fa parte del periodo più tardo del catalogo di Piero della Francesca e mostra la sua adesione allo stile fiammingo, che aveva scoperto durante i suoi viaggi a Firenze, Ferrara e quasi certamente a Roma. Dei fiamminghi riconosciamo il modo di rappresentare le vesti, gli accessori, il paesaggio, ricchi di dettagli. E poi il fiume serpeggiante con le barche e soprattutto la cura nei dettagli, che viene posta in egual modo agli elementi che si trovano sul primo piano e sullo sfondo. Sì, i Fiamminghi in questo sono i gran maestri!
Mi raccomando però, ricordatevi che l’attenzione ai dettagli non scalfisce in nessun modo il rigore formale tipico dello stile di Piero della Francesca. Infatti anche in questo dipinto è presente, come in tutte le sue opere, la luminosità uniforme che dà compattezza e solidità.
Osservate bene le teste, hanno un volume tale da conferire un senso di potenza che cattura l’attenzione di chi osserva. Ve ne potete rendere conto in particolare guardando la testa del duca, in cui il senso di massa voluminosa è accresciuto dai capelli e dal copricapo che, rosso come l’abito, isola e definisce il profilo.
Riassumendo, il Doppio ritratto dei duchi di Urbino di Piero della Francesca è tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze perché:
- l’opera mostra l’adesione del pittore allo stile fiammingo nella cura minuziosa dei dettagli e nel modo di rappresentare il paesaggio.
- Permane sempre il rigore formale tipico dello stile di Piero della Francesca.
Madonna del Cardellino di Raffaello Sanzio
La Madonna col Bambino e San Giovannino, conosciuta come la Madonna del Cardellino di Raffaello Sanzio, è una delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze. È un olio su tavola di 107 x 77,2 cm, conservato nella Sala A38 e fa parte della produzione matura dell’artista.
È datata non oltre il 1506 e fu realizzata durante la permanenza del Maestro a Firenze. Raffaello raggiunse la città toscana perché era un grande estimatore dell’arte di Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti e desiderava studiare i due pittori. Voleva anche partecipare alla vita artistica della città dove nacque il Rinascimento.
Il dipinto raffigura la Madonna con i piccoli Gesù e Giovannino che si prendono cura di un cardellino, simbolo della passione di Cristo.
La forma piramidale della composizione è ripresa da Leonardo, ma la delicatezza e la dolcezza nel raccontare la scena è unica e riconducibile nell’immediato alla maestria di Raffaello.
Ed è così anche per la scelta delle tinte tenui, la raffinatezza e tenerezza dei volti e dei gesti. Guardate gli sguardi che si incontrano, la manina di Gesù che accarezza il fragile cardellino, i corpi paffutelli dei due bimbi, la grazia e la premura materna della Vergine che sa già quale destino attende il figlio, visto che in una mano ha un testo sacro aperto. E la posa del piccolo figlio di Dio per quanto deliziosa, non è quella di un bambino, ma ricorda da vicino le statue antiche.
Perché un giorno Lui sarà il Re dei Cieli. A tal proposito vi invito a notare anche la differenza tra lo sguardo sorridente e disteso di Giovannino e quello più pensieroso di Gesù, che sa di essere il prescelto.
Guardate il piedino di Gesù che si appoggia sopra quello della madre, come a voler cercare la sua protezione. E la mano della Vergine Maria, con quanto affetto sostiene San Giovannino, riconoscibile dalla veste semplice e dalla corda cinta intorno alla vita.
I colori degli abiti della Madonna sono quelli della tradizione iconografica, ossia il blu simbolo della Chiesa e il rosso della passione. Splendida l’ambientazione, con il prato fiorito, il fiume, il ponte in pietra, gli alberi e poi lo sfondo, eseguito con la tecnica dello sfumato e della prospettiva aerea che Raffaello riprende da Leonardo. La luce è diffusa e proviene dall’alto. Non ci sono ombre profonde nè tantomeno nette. Una scelta stilistica che conferisce armonia alla composizione.
Riassumendo, le peculiarità che fanno entrare la Madonna del Cardellino di Raffaello Sanzio tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze sono:
- lo studio dell’arte fiorentina del tempo, in particolare di Leonardo da Vinci.
- l’uso della prospettiva aerea e dello sfumato.
- la naturalezza e l’armonia tipiche dello stile del Maestro Raffaello.
Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna
La Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna si trova nella Sala 2 ed è una delle 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi. Fu commissionata nel 1285 circa e fino al 1937 è rimasta nella sua collocazione originaria, all’interno della Cappella Rucellai nella Chiesa di Santa Maria Novella.
Tra quelle che conosciamo è la pala più grande del Duecento e misura ben 450 x 290 cm. La tecnica usata è la tempera su tavola con fondo oro.
Il trono ligneo su cui siede la Vergine è ricco di dettagli e il drappo che lo ricopre simboleggia l’autorevolezza della Madre Celeste e del figlio. Quest’ultimo siede sulle ginocchia di Maria ed è abbigliato con un mantello rosso, come le statue antiche. Con la manina destra benedice gli astanti.
C’è un tentativo di spazialità, lo si vede nella posizione della Vergine e del trono. Certo siamo ancora lontani dalla tridimensionalità del Rinascimento. Ma Duccio dimostra di essere sì ancora legato alla cultura bizantina, derivata dalla lezione di Cimabue che segna la sua fase giovanile, ma nel contempo dimostra di essere un sensibile sperimentatore del linearismo, del decorativismo e del naturalismo gotico.
Dimostra anche un nuovo interesse per la rappresentazione dello spazio. I volti mantengono le tipiche caratterizzazioni bizantine, ma la naturalezza delle espressioni e dei gesti, li distanzia molto dalle imperturbabili icone.
L’uso del fondo oro è un altro elemento derivato dalla tradizione bizantina. Sulla cornice sono disposti tondi con il busto di santi appartenenti all’ordine domenicano.
Guardate quest’opera e ricordate che l’arte di Duccio di Buoninsegna rappresenta una vera e propria svolta, che sarà lo stimolo essenziale su cui cresceranno e si confronteranno i massimi artisti.
Riassumendo la Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna è tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze perché:
- è la pala più grande del Duecento di cui abbiamo conoscenza.
- C’è un tentativo di spazialità.
- Permane la cultura bizantina, ma c’è attenzione anche al naturalismo gotico.
- Quest’opera rappresenta una svolta stilistica e culturale, a cui si ispireranno i massimi artisti.
Annunciazione di Leonardo da Vinci
Non può mancare tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze l’Annunciazione di Leonardo da Vinci. È conservata nella Sala 35 ed è un olio su tavola di 90 x 22 cm, dipinto tra il 1472 e il 1475 circa. Fa parte della fase giovanile del catalogo di Leonardo.
Nel dipinto si vede l’adesione iniziale dell’artista allo stile fiammingo. Evidente nella resa dei dettagli e caratteristico della Bottega di Andrea del Verrocchio, Maestro di Leonardo.
Nell’Annunciazione però vi sono anche importanti novità, ad esempio nella fusione delle varie parti del primo piano e dello sfondo, grazie a quello che sarà l’insegnamento fondamentale di Leonardo da Vinci, ossia la prospettiva aerea.
Vi invito anche a notare l’attenzione con cui sono disposti i vari elementi nello spazio. Sulla destra, davanti ad un palazzo rinascimentale, siede di tre quarti la Vergine. Tra lei e l’arcangelo Gabriele si frappone un leggio posto sopra un raffinato supporto finemente decorato.
L’arcangelo è inginocchiato su uno splendido prato fiorito e la sua fisicità è reale e resa dal chiaro scuro deciso, che ne proietta l’ombra. I volti sono quelli unici e inconfondibili di Leonardo, così come la maestria nell’uso della luce.
Una fila di alberi accompagna lo sguardo fino sullo sfondo. Quest’ultimo è sfumato nell’atmosfera, così come avviene nella realtà.
Leonardo costruisce il dipinto secondo le leggi prospettiche, scegliendo un punto di fuga centrale anche se c’è un errore. Se lo si guarda frontalmente, il braccio destro della Vergine è troppo lungo, quindi risulta sproporzionato. Ma attenzione, sicuramente non si tratta di uno sbaglio, bensì di un espediente voluto.
Originariamente la tavola doveva trovarsi sopra un altare laterale di una chiesa, di cui non abbiamo notizie certe. Probabilmente Leonardo ha allungato il braccio tenendo in considerazione la visione laterale e dal basso.
L’Annunciazione di Leonardo da Vinci è quindi tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi perché:
- testimonia l’adesione iniziale del Maestro fiorentino allo stile fiammingo.
- È presente la prospettiva aerea di Leonardo.
- Vi si trovano le leggi prospettiche del Rinascimento fiorentino.
Bacco adolescente di Caravaggio
Segnatevi assolutamente tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze il Bacco adolescente di Caravaggio.
Fa parte delle prime opere del catalogo dell’artista e risale al periodo in cui Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come Caravaggio, decise di non lavorare più per il Cavalier d’Arpino. Preferì realizzare alcune opere per conto suo, in piena autonomia.
Il Bacco adolescente è datato al 1598 circa ed è un olio su tela di 95 x 85 cm. Si trova nella Sala D32 del museo fiorentino.
La prima cosa che ci colpisce del dipinto è il realismo con cui il pittore esegue il cesto di frutta, la corona di foglie di vite con ciocche d’uva, il vaso e la coppa di vetro contenenti il vino rosso.
Si resta stupiti dalla bellezza e naturalezza con cui sono rese le trasparenze e i riflessi del vetro! Bacco ha il viso inebriato dall’alcol. Lo si vede bene dallo sguardo languido e dalle guance colorite. La posa e il corpo, coperto da un drappo bianco, ricordano le antiche statue classiche.
Insieme con lo Scudo con testa di Medusa faceva parte del regalo di nozze che il Cardinale Francesco Maria del Monte, mecenate di Caravaggio a Roma, fece al figlio del suo caro amico Ferdinando I de’ Medici, Granduca di Toscana.
La grandezza di Caravaggio, uno degli artisti più amati e influenti di sempre, inizia già a palesarsi fin nelle primissime opere come questa. Di qui a poco il pittore avrebbe definito quel suo realismo unico e inconfondibile, senza filtri, che ci affascina e attrae prepotentemente.
I motivi per cui il Bacco adolescente di Caravaggio rientra tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze sono:
- è un’opera realizzata in autonomia, senza committenti e mecenati.
- Vi è già il realismo che caratterizzerà l’intera produzione artistica di Caravaggio.
Battesimo di Cristo di Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci
Il Battesimo di Cristo di Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci è tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi a Firenze.
Si tratta di un dipinto a tecnica mista, con tempera e olio su tavola. Misura 177 x 151 cm e fu realizzato tra il 1470 e il 1475 circa. Oggi lo vediamo nella Sala 35 del museo fiorentino.
Raffigura il momento del battesimo di Gesù da parte di San Giovanni. Quest’ultimo, con la mano sinistra, sorregge una croce sottile con un cartiglio che riporta la scritta in latino Ecce Agnus Dei (Ecco l’Agnello di Dio).
Cristo è al centro della scena, anche se non è perfettamente centrale, probabilmente per rompere quello che sarebbe stato un effetto simmetrico e piramidale.
Ha le mani giunte in preghiera e la posa è piuttosto articolata, soprattutto le gambe. Sulla sinistra due angeli assistono al sacramento. In alto, sopra il Cristo, vediamo le mani di Dio Padre, la Colomba dello Spirito Santo e i raggi dorati che scendono sopra Gesù.
Dietro gli angeli una palma separa il primo piano dallo sfondo. Sul lato opposto trovano posto una roccia e un uccello scuro che vola in picchiata, simbolo del peccato. È palesemente contrapposto alla colomba bianca, simbolo di purezza e sacralità.
Andrea del Verrocchio fu il Maestro di Leonardo da Vinci e grazie ai racconti di Giorgio Vasari, sappiamo con certezza che l’allievo partecipò all’esecuzione dell’angelo sulla sinistra, quello che tiene l’abito di Cristo. La delicatezza del viso, la rotazione del corpo e la bellezza della veste azzurra con le pieghe così reali, sono tipici dell’arte di Leonardo.
Ma anche l’uso della prospettiva aerea e dello sfumato nel paesaggio, le trasparenze del fiume Giordano, sono sicuramente da riferire al pittore di Vinci.
Vista la qualità, potrebbe aver dipinto anche la veste di San Giovanni. Sempre grazie al Vasari sappiamo che Verrocchio non apprezzò molto la bravura di Leonardo. Eh sì, quando si dice l’allievo che supera il maestro e a volte al maestro rode e parecchio!
Il confronto diretto tra Leonardo e Verrocchio in questo dipinto non è molto evidente, perché era consuetudine che il Maestro di Bottega lasciasse il lavoro agli allievi e infatti la mano di Andrea del Verrocchio è poco presente. La si vede sicuramente nel volto di San Giovanni.
All’opera lavorarono anche altri allievi, sicuramente meno talentuosi di Leonardo. Per esempio le mani del Cristo e il gruppo con le mani di Dio, la colomba e i raggi, non convincono affatto e dimostrano incertezza esecutiva e arcaismi.
Nulla a che vedere con la grazia e l’abilità leonardesche.
Il Battesimo di Cristo di Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci va quindi inserito tra le 10 opere da non perdere alla Galleria degli Uffizi perché:
- dimostra il genio di Leonardo fin dai tempi in cui era un giovane allievo nella Bottega di Andrea del Verrocchio.
- Eleva l’esecuzione pittorica di Leonardo rispetto allo stesso maestro e agli altri allievi che partecipano al dipinto.
- Vi si vedono già il naturalismo e la prospettiva aerea, elementi fondamentali dell’arte di Leonardo.