Antonio Ligabue, pittore: biografia e opere
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Il pittore Antonio Ligabue è uno degli artisti italiani più noti del novecento, eppure la biografia e le opere del pittore raccontano una storia difficile. È una storia umana, in bilico tra la comprensione e il rifiuto, tra l’arte e la sua negazione. Sono tanti i territori che si potrebbero esplorare parlando di Antonio Ligabue: alcuni, però, sono troppo inospitali e difficili per affrontarli come si deve. Questo articolo, allora, si limita a raccontarne la vita e le opere, e a suggerire qualche elemento in più per avvicinarsi all’artista: piano, in punta di piedi.
Antonio Ligabue: le opere più famose
Le opere di Antonio Ligabue, forti e tormentate, sono lo specchio fedele della biografia del pittore. Nato in Svizzera alla fine del 1899, figlio di un’immigrata italiana e di un padre sconosciuto, deve il suo cognome all’uomo che la madre sposò qualche anno dopo, Bonfiglio Laccabue. Una volta adulto, tuttavia, Antonio lo cambiò in Ligabue, a causa del disprezzo che nutriva per il patrigno.
La coppia era poverissima, perciò la madre decise di affidare il figlio a una famiglia della svizzera tedesca. Nonostante questo, e malgrado l’attaccamento ambivalente che sviluppò per la madre adottiva, Antonio visse comunque un’infanzia difficile, segnata anche dalla malnutrizione. Gli effetti sullo sviluppo fisico del bambino si videro più tardi: Ligabue, infatti, fu colpito da rachitismo.
Il suo percorso scolastico si fermò alla quarta elementare, anche perché, per i suoi scatti d’ira, Ligabue fu più volte cacciato o espulso dagli istituti che frequentava. Solo in una materia dimostrò ben presto ottime doti: il disegno.
A diciassette anni, a causa di un’aggressione violenta nei confronti della madre adottiva, viene ricoverato per la prima volta in una clinica psichiatrica. Tre anni dopo, nel 1919, la donna denuncia Ligabue alle autorità di Romanshorn, la città dove vive, perché lo giudica “freddo e scostante” nei suoi confronti. Probabilmente lei stessa non si rende conto delle conseguenze del suo gesto: dopo la denuncia, infatti, Ligabue viene accompagnato in Italia, scortato dai carabinieri.
Una volta arrivato nel nostro paese viene trasferito in Emilia, a Gualtieri, città natale del suo patrigno: qui trascorrerà gran parte delle sua vita. Tra un lavoro saltuario e l’altro, a volte come manovale, altre dipingendo manifesti per un circo, Ligabue continua a disegnare, vivendo dei soldi che la madre adottiva gli mandava e della carità dei suoi compaesani.
Nel 1927 incontra lo scultore Renato Marino Mazzacurati, che ne riconosce il talento e cerca di insegnargli le tecniche della pittura a olio. A partire dagli anni trenta, l’arte diventa l’interesse principale di Ligabue, che continuerà a dipingere per quasi trent’anni.
Fin da subito nella sua produzione si impongono due temi: gli animali e l’autoritratto. Nel 1934, in una opere più note degli esordi, Il leone e la leonessa, si notano già la capacità di riprodurre e interpretare la natura. La scena, tuttavia, si sviluppa in un’atmosfera quasi indefinita: certo, il leone è proiettato in avanti e con le fauci aperte, e si intuisce la tensione di chi sta per lanciarsi in un balzo. I colori, però, sono tenui e lo sfondo, dove passa un branco di gazzelle, appena accennato.
Ben diverse sono le opere dei periodi successivi: gli animali, esotici o vicini, sono raffigurati mentre combattono, mentre balzano sulla preda, mentre ruggiscono. I colori sono decisi, le pennellate intense. Come in Aquila con volpe, in cui l’uccello, maestoso, artiglia la sua preda che torce la gola in un grido di dolore e angoscia che mette i brividi, pur nel silenzio della dipinto.
Ritroviamo la stessa drammaticità, lo stesso istinto potente di caccia e lotta in altri dipinti, come Leonessa che azzanna una zebra, del 1951 o Tigre assalita da un serpente del 1955.
L’anno successivo Ligabue dipinge quello che, forse, è il più celebre dei suoi autoritratti: l’Autoritratto con sciarpa rossa. Il volto del pittore si profila nettissimo sullo sfondo, reso ancor più reale dai dettagli: i ciuffi bianchi dei peli della barba sul mento, le occhiaie scavate, le rughe profonde.
Oltre trecento volte: Ligabue ha ritratto se stesso in moltissime occasioni, a volte in compagnia degli animali, come in Autoritratto con cane. Qualcuno ha voluto cogliere in questa ossessione per se stesso una compensazione alla sua solitudine. Anche nelle occasioni in cui si dipingeva in abiti femminili, il riferimento alla figura della madre adottiva è un richiamo suggerito da molti.
Pur continuando a dipingere e acquistando fama a partire dagli anni cinquanta, Ligabue soffrì di disturbi frequenti e fu più volte ricoverato, sia in ospedale che in ospedale psichiatrico. In quelle occasioni, erano gli amici a farlo uscire, assumendosi la responsabilità di prendersi cura di lui.
Dalla metà degli anni cinquanta iniziano le prime mostre, fino a quella più celebre, a Roma, nel 1961. Ligabue lo aveva ripetuto più volte, e aveva ragione: il suo talento sarebbe stato riconosciuto. L’anno successivo, tuttavia, fu colpito da una paresi. Dopo alcuni ricoveri in diversi ospedali, morì nel 1965 a Gualtieri.
Antonio Ligabue: libri su di lui da leggere
“Ma lo sai di chi sei figlio tu?“. Inizia così, con questa domanda, il libro “Il genio infelice” di Carlo Vulpio. Non si tratta di una biografia che racconta la vita del pittore o le opere di Antonio Ligabue, ma di un romanzo. Il libro non risparmia nulla, né il tormento di chi si sente perennemente fuori posto né l’incontro con il disagio mentale. Per questo, ci accompagna nella vicenda umana e artistica di Ligabue variando i toni: le pennellate delicate della comprensione e dell’empatia, le tinte scure della violenza, trascinanti come spire, l’ammirazione dorata per un’arte “a cui manca solo la parola“.
Vi consiglio di iniziare proprio con questo romanzo per avvicinarvi a Ligabue, per la precisione con cui viene raccontata la sua vita, grazie ad una ricerca accurata e referenziata, ma anche per lo stile e la forma dell’opera. È un romanzo, certo, eppure si ha l’impressione di assistere dal vivo ai fatti, dal punto di vista privilegiato di un narratore che racconta ma non sta alla finestra. No, lui è lì, dietro Antonio: segue i suoi passi, e forse è anche tentato di mettergli una mano sulla spalla e dirgli “Sono qui“. Di certo lo vorremmo fare noi, pagina dopo pagina: ma chissà se l’artista, orgoglioso e solitario, lo avrebbe accettato.
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Anche la monografia di Art e Dossier dedicata a Ligabue esplora la vita e le opere dell’artista da punti di vista differenti. Giuliano Serafini, autore e curatore della pubblicazione, inizia con un ritratto dell’artista nella sezione “L’uomo dal gozzo”. Il titolo si riferisce all’autoritratto in copertina, ma il testo racconta la vita del pittore con precisione e attenzione. Nelle pagine successive, la narrazione prosegue di tema in tema, parlando delle difficoltà che l’artista ha affrontato, del suo spaesamento una volta trasferito forzatamente in Italia e, infine, delle sue opere più note. L’ultima sezione “Tigri padane”, non è soltanto la conclusione di una monografia, ma un omaggio ad un artista il cui valore è stato riconosciuto solo negli ultimi anni di vita.
Infine, da non perdere è “Ligabue” di Cesare Zavattini. L’autore dedica all’artista una biografia in versi liberi, che inizia nel calore di una giornata estiva di pianura: “Ho attraversato la piazza di Luzzara / fingendo di essere Antonio Ligabue. / Distiamo sei chilometri da Guastalla dove lui si innamorò / otto da Gualtieri dove spirò nel sessantacinque”. E prosegue, raccontando un ritratto reale, concretissimo e senza sconti, neanche per se stesso: “Io stesso non gli stesi la mano / quando lo conobbi nel cinquantasei / dal naso gli colava del muco”.
Nel libro, moltissime immagini di schizzi in bianco e nero e piccole opere dell’artista. In appendice, altri dipinti più conosciuti e una serie di note al testo. Zavattini intitola l’opera “Ligabue”, ma fa precedere i versi da un altro titolo, più intimo è familiare nella sua semplicità: “Toni Ligabue“.
Antonio Ligabue: frasi celebri e aneddoti
Frasi celebri? Poche, pochissime per la biografia di Antonio Ligabue, un pittore che aveva pochi legami e che preferiva far parlare le sue opere per lui. Un frammento che si riferisce ai quadri in cui dipinge gli animali selvatici, però, è come la luce di un lampo: “Io so come sono fatti anche dentro“, afferma il pittore. C’è chi nella frase ha voluto semplicemente vedere una conoscenza anatomica, dal momento che Ligabue frequentava spesso il mattatoio locale. Altri, invece, ritengono che in queste parole ci sia una coscienza più profonda della propria vita: ai margini, solitaria e aspra, come quella di un animale.
Con lo stesso piglio netto e senza filtri il pittore rivendica il proprio talento, quando spiega le ragioni che hanno indotto Renato Mazzacurati a prenderlo con sé: “Ma che imparato! Mazzacurati mi ha preso perché io ho fatto senza scuola: dono di natura. Autodidatta”. Forse c’è anche un desiderio orgoglioso di rivincita nelle sue parole: messo ai margini, deriso, rifiutato, Ligabue fa valere la sua arte come espressione di ciò che lo differenzia dagli altri. Un qualcosa che, per una volta, lui ha in più, non in meno.
Gli aneddoti, al contrario, sono più di qualcuno. Alcuni arrivano direttamente dalla comunità di Guastalla, nelle parole dei figli e dei nipoti di chi Ligabue l’ha conosciuto di persona. Gli abitanti del paese riferiscono che l’artista, povero in canna, pagava un piatto di zuppa all’osteria o qualche litro di carburante per la moto con disegni e dipinti. Una donna, intervistata da un giornale locale, racconta che sua nonna parlava così del pittore: “Mentre mangiava, con una matita disegnava sulla tovaglia o tovaglioli“.
Un altro, un viaggiatore di passaggio, è stato a casa del benzinaio dove Ligabue faceva rifornimento: “Mi ha mostrato gli unici due quadri che gli erano rimasti, un leone disegnato con una matita rossa e un piccolo paesaggio montano svizzero. Gli altri che gli lasciava in cambio della benzina li aveva tutti buttati. Mi raccontava che in paese le persone li accettavano in cambio di qualcosa per pietà poi li buttavano. Quando divenne famoso si diedero tutti alla ricerca [delle opere perdute, n.d.r] ma ormai la maggior parte era andata persa e in tanti si morsicarono le dita”.
Più profonda, invece, è un’altra scena tratta dalla vita del pittore: si racconta che ad ogni donna che incontrava chiedesse un bacio, forse per compensare la mancanza della madre o di una figura femminile. Un ricordo vivo, tenero e drammatico, tanto da essere portato sul palco nello spettacolo “Un bès – Antonio Ligabue” di Mario Perrotta. L’attore, che è anche autore del testo, fa esclamare a Ligabue, immaginandolo a elemosinare un bacio: “Un bès… Dam un bès, uno solo! Che un giorno diventerà tutto splendido. Per me e per voi”.
Antonio Ligabue: perché amarlo
Raccontando la biografia e le opere del pittore Antonio Ligabue si incontra l’uomo prima dell’artista. È questa una delle ragioni per amarlo: perché la sua storia umana è tormentata, dolorosa, faticosa.
“El mat“, lo chiamava la gente del paese, in dialetto. Il matto. Dopo un inizio di conoscenza reciproca facilitato dalle apparenze, perché Ligabue spendeva i primi soldi mandati dai genitori adottivi per vestirsi con cura, i suoi concittadini iniziarono a mal tollerare le sue stranezze. Lo tenevano a distanza , come uno di quei pazzi di provincia che si trattano con distacco o con la pietà superficiale che riserviamo a chi ci infastidisce.
Immaginate un’arte che si sviluppa e cresce in un contesto del genere, e che diventa un riferimento intimo e libero per interpretare la propria vita. Questa è l’arte di Antonio Ligabue: tanto personale e tanto necessaria che l’artista sopravvisse poco più di due anni alla emiparesi che gli rese quasi impossibile esercitarla.
Difficile interpretare Ligabue secondo gli schemi critici comuni. Definito di volta in volta naif, espressionista o esponente dell’outsider art, il pittore è, come abbiamo già visto, orgogliosamente autodidatta. Da questo punto di vista, sono ancora più sorprendenti alcuni dipinti, in cui riesce ad immaginare gli animali selvatici nel loro ambiente solo reinterpretando le figure dei libri illustrati.
Mazzacurati mette in valore l’abilità nella composizione di Ligabue, quando racconta che il pittore aveva già in mente il risultato finale nel momento in cui iniziava a dipingere. Arte, talento, forza, pur senza alcun riferimento artistico o formativo precedente all’incontro con il suo mentore: ecco il secondo motivo per amare Antonio Ligabue.
Il terzo, invece, lo leggiamo nell’epitaffio inciso sulla sua tomba a Gualtieri, dove morì: “Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all’ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore”.
Libertà. Amore. Non sono forse la stessa ricerca universale e gli stessi desideri che animano ciascuno di noi? Avvicinandoci ad Antonio Ligabue percepiamo che la sua fatica e il suo dolore ci parlano nei dipinti, nelle figure potenti, nella tensione della lotta o nella calma vigile di un autoritratto.
A raccontarlo sono i versi di Zavattini, che conclude così la biografia dedicata all’artista: “Se dovessi narrare in una riga / la storia di Ligabue / direi era meraviglioso come noi“.