Dante Alighieri scrittore, biografia
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Dante Alighieri non è solo il più importante autore della tradizione letteraria italiana, ma è anche riconosciuto come uno dei più autorevoli scrittori a livello mondiale.
La sua opera più importante, la Divina commedia, ha il merito di raccontare la vita, il pensiero e le credenze delle popolazioni del Medioevo. Inoltre il viaggio che lì viene narrato può essere considerato il primo fantasy della storia tanto che da lui hanno preso ispirazione tutti gli autori successivi.
Durante la vita Dante Alighieri è stato coerente, si è esposto in prima persona e ha pagato le sue scelte con l’esilio.
Il messaggio che ancora oggi ci arriva dalle sue opere è straordinariamente attuale.
Durante, detto Dante, Alighieri nasce a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà; il padre è Alighiero di Bellincione e la mamma Bella degli Abati. Il giorno preciso della sua nascita è incerto ma lui, in un passo del Paradiso, dichiara di essere nato sotto il segno dei Gemelli, quindi tra maggio e giugno.
All’età di 9 anni Dante Alighieri incontra una fanciulla di nome Beatrice e se ne innamora. Devono passare molti anni prima che lui la veda nuovamente.
La famiglia degli Alighieri appartiene alla piccola nobiltà guelfa e versa in condizioni economiche modeste. Per poter mantenere la famiglia il padre di Dante deve infatti dedicarsi a un’attività che allora era considerata poco onorevole per un nobile, quella del cambiavalute.
Anche dal punto di vista politico gli Alighieri non erano molto importanti. Questo è dimostrato dal fatto che, dopo la drammatica sconfitta che i guelfi subirono a Montaperti nel 1260, la famiglia di Dante Alighieri può rimanere a Firenze e non viene quindi esiliata come tutte le importanti famiglie guelfe.
Il suo primo maestro è Brunetto Latini, scrittore, poeta e notaio, grande conoscitore della letteratura francese, famoso in tutta Europa grazie agli studi sull’arte retorica applicata alla politica.
Da lui Dante apprende che l’impegno politico richiede rettezza, etica, rigore e onestà.
A 18 anni avviene il secondo incontro con Beatrice de’ Bardi e in lui si cementa la sensazione di avere incontrato l’Amore, quell’Amore che cambierà la sua vita.
Ma a quell’epoca non ci si sposava per amore, i matrimoni erano contratti, accordi commerciali che venivano stipulati tra le famiglie. Anche Dante non si sottrae al suo destino e intorno al 1285 sposa Gemma Donati che appartiene a una delle famiglie guelfe più illustri di Firenze.
L’unione tra Dante e Gemma è abbastanza felice e dal matrimonio nascono tre o, o forse quattro figli: di Jacopo, Pietro e Antonia si hanno informazioni certe, ma alcuni documenti parlano anche di un quarto figlio di nome Giovanni.
L’ambiente culturale di Firenze è molto vivace: qui si diffonde la nuova poesia cortese e si sperimenta un nuovo stile poetico che Dante definirà Stilnovo. Dante Alighieri diviene amico di Guido Cavalcanti, uno degli stilnovisti, e questa amicizia è di fondamentale importanza per lui.
Come è accaduto a lui, anche la bella Beatrice de’ Bardi si sposa e il fatto che lei sia sposata non impedisce a Dante di cantare le sue lodi e di considerarla come la sua donna angelo. Beatrice è per Dante il simbolo della bellezza femminile e della perfezione dell’amore.
Nel 1290 Beatrice muore, probabilmente di parto, e Dante Alighieri cade in una profonda crisi intellettuale e morale che lo porta ad abbandonare la poesia per dedicarsi agli studi filosofici.
Per trenta mesi si dedica allo studio e scrive la sua più importante opera giovanile la Vita nova. Si tratta di un’autobiografia filosofica in cui il poeta rende spirituale la sua vicenda amorosa e nella quale delinea una nuova concezione dell’amore, in cui ragione e virtù sono legate indissolubilmente.
Nel 1295 accade un fatto che cambia la vita di Dante Alighieri. Negli anni precedenti, nel comune di Firenze erano stai emanati degli Ordinamenti di giustizia per i quali nessun nobile poteva entrare nella gestione politica del comune: la scelta era derivata dall’eccessiva bellicosità dei nobili fiorentini.
Nel 1295 però viene approvata una modifica a tali Ordinamenti e anche i nobili sono nuovamente ammessi alle cariche pubbliche, purché iscritti a una corporazione.
Dante, bramoso di entrare nel mondo politico, si iscrive alla corporazione dei medici e degli speziali con la menzione di poeta e così può fare il suo ingresso in politica: entra prima nel Consiglio del Popolo e poi nel Consiglio dei Savi per l’elezione dei Priori.
Nel 1300 guida con successo un’ambasceria a San Gimignano e, per il bimestre 15 giugno -15 agosto 1300, riceve l’incarico di priore, la più alta carica pubblica del comune dopo quella di podestà. Questo incarico segna l’apice della sua carriera politica.
Bisogna ricordare che i fiorentini erano una popolazione rissosa: infatti non riuscivano a vivere in pace per molto tempo.
In quel periodo sono nuovamente in conflitto tra loro: i guelfi, dopo aver sconfitto i ghibellini, si dividono in bianchi, capitanati dalla famiglia Cerchi e neri al seguito della famiglia Donati.
Dante appartiene alla fazione dei bianchi, che non vogliono che il papa interferisca con la politica di Firenze. Ma i Donati si alleano con il pontefice Bonifacio VIII e ne appoggiano la politica e le continue ingerenze.
Intanto in città esplodono frequenti conflitti tra esponenti delle due fazioni tanto che, nel tentativo di arginare le risse, i priori arrivano a mandare in esilio molti illustri fiorentini.
Questa situazione mette molto in difficoltà uesta Dante per due motivi:
- lui appartiene alla fazione dei guelfi bianchi mentre la famiglia di sua moglie a quella dei neri,
- tra le persone esiliate c’è il suo amico fraterno Guido Cavalcanti.
La situazione in Firenze è tesa.
Nel 1301 il governo del comune è in mano ai bianchi e Dante è componente del Consiglio dei Cento: assieme ad altri viene inviato a Roma, dal papa Bonifacio VIII, per cercare un accordo col pontefice.
Ma Bonifacio sostiene l’altra fazione e, mentre Dante è a Roma, il papa permette ai neri di prendere il potere nella città.
Dante viene raggiunto a Roma da due notizie terribili:
- il colpo di stato Firenze
- l’ingiusta accusa.
Infatti il podestà di Firenze accusa Dante di baratteria, cioè di appropriazione indebita di denaro pubblico. La sua casa viene saccheggiata e lui viene chiamato per difendersi dall’accusa.
Dante era stato accusato ingiustamente. Lui era un uomo talmente retto che anche i suoi antagonisti sapevano bene quanto tali accuse fossero false: servivano solo a togliersi dai piedi un uomo di tale levatura morale.
Dante, da parte sua, sa di essere uomo e politico onesto, a differenza dei suoi accusatori. Non ha quindi alcuna intenzione di lasciarsi umiliare un manipolo di politici corrotti.
Inoltre è convinto di essere uno dei più grandi intellettuali della sua epoca e dobbiamo ammettere che lo è per davvero. Ma è altrettanto innegabile che Dante Alighieri, a volte, o anche spesso, assume atteggiamenti arroganti. Per questo spesso lo vediamo ritratto con un’espressione crucciata. Un suo contemporaneo, lo storico Giovanni Villani lo descrive così: “Questo Dante … fue alquanto presuntuoso e … mal grazioso” e conclude dicendo addirittura che non era molto bravo a conversare.
L’anno successivo Dante viene condannato in contumacia al pagamento di una multa, a due anni di confino e al divieto a vita di partecipare al governo della città. Ferito dall’ingiusta accusa il poeta non si presenta e viene condannato alla confisca dei beni e alla morte sul rogo se fosse stato catturato dalle autorità.
Da quel momento inizia un esilio fatto di viaggi e di intenso lavoro. È spesso ospite di signori più o meno potenti, presso i quali svolge diversi incarichi di tipo diplomatico: è ospite a Verona, a Treviso, in Lunigiana e nel Casentino.
Nel 1315 riceve da Firenze un nuovo invito alla riconciliazione, che ha però il sapore della vendetta: deve pagare una multa e chiedere pubblicamente scusa, vestito di un saio, come un eretico o un malfattore, in una processione attraverso la città. Ovviamente Dante non intende abbassarsi a simili richieste e viene quindi condannato a morte con i suoi figli.
L’ultimo soggiorno di Dante è a Ravenna presso la corte di Guido Novello da Polenta. Nel 1321 si reca a Venezia per una missione diplomatica, ma viene colpito dalle febbri malariche e muore a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre.
Il suo corpo è ancora sepolto a Ravenna, presso la chiesa di San Francesco.
Nei secoli successivi il comune di Firenze ha chiesto più volte la restituzione della salma del loro illustre concittadino ma l’amministrazione ravennate si è sempre rifiutata di restituire le spoglie del Sommo Poeta, ingiustamente esiliato da Firenze.
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Periodo storico e letterario
Dante Alighieri vive nell’età comunale.
La civiltà comunale si sviluppa intorno all’anno Mille, quando in alcune città italiane ed europee avviene una trasformazione, economica e politica: accanto a clero, nobiltà e lavoratori, si sviluppa un nuovo gruppo sociale. Intorno alle mura delle città medievali, nel borgo, si costruiscono botteghe e residenze per mercanti, artigiani, professionisti e banchieri. Sono i nuovi borghesi, la parte più intraprendente della popolazione, persone sempre più influenti e sempre più capaci di collaborare con il signore del luogo nell’amministrazione della città.
Col tempo, quando le più importanti famiglie nobili e borghesi delle città, decidono di governarsi autonomamente e difendere la propria libertà economica, nasce il comune: una forma di autogoverno cittadino, generato da un giuramento collettivo, con cui un gruppo di cittadini si assume il compito di governare e di amministrare la città.
Le città comunali hanno così le caratteristiche di uno Stato, con autonome istituzioni, leggi, monete e tasse.
E i comuni, nuovi soggetti politici, non intendono dipendere né dal potere superiore dell’imperatore, né da quello del papa, ma neppure da re o feudatari: non intendono cioè continuare a pagare tasse ad alcuna istituzione.
Le città del basso Medioevo sono popolate da nobili, ma anche da intellettuali come avvocati, giudici, notai, maestri e studenti delle università. Sono quelli gli anni in cui nelle città più attive nascono le prime università, che devono preparare i giovani alle nuove professioni.
Oltre al ceto intellettuale ci sono anche artigiani, commercianti e banchieri. Per semplificare nei comuni si possono individuare quattro grandi gruppi sociali:
- i magnati: nobili, proprietari terrieri;
- il popolo grasso: ricchi borghesi, mercanti, banchieri, proprietari di manifatture;
- il popolo minuto: piccoli commercianti e artigiani;
- gli operai: lavoratori nelle manifatture e a giornata, recenti immigrati.
Nei comuni anche il clero era molto presente: tra sacerdoti e monaci, tra abati e vescovi il paesaggio delle città è arricchito da conventi e cattedrali.
Esclusi da ogni diritto, ma presente nelle città c’è una popolazione di miseri costituita da poveri, servi, prostitute, mendicanti, malati.
Firenze è la città più ricca e più potente del Medioevo. La sua moneta, il fiorino, diventa moneta di scambio in tutta Europa, i suoi nobili sono i più ricchi e famosi del Medioevo.
Firenze è un libero comune che lotta per ottenere il potere anche sull’area circostante, perché
- necessita delle risorse del territorio per nutrire i suoi cittadini;
- vuole ottenere la supremazia politica sulla parte centrale della penisola italiana.
La Firenze di Dante, insomma, è una vera e propria città-stato.
Ma la vita nelle città comunali è tutt’altro che rosea. La serenità cittadina infatti è lacerata da costanti conflitti sia al suo interno che all’esterno delle mura cittadine.
In particolare a Firenze si alternano le lotte
- inter comunali (con altri comuni per il controllo del territorio circostante)
- intra comunali (tra fazioni di cittadini).
A Firenze tra il Duecento e il Trecento si sono avvicendati i governi di due fazioni contrapposte:
- i guelfi (che riconoscono la supremazia del papa sopra ogni altro sovrano)
- i ghibellini (che individuano nell’imperatore la massima autorità sulla terra).
I due partiti avevano vinto un po’ per uno: prima i guelfi avevano cacciato i ghibellini, questi nel 1260 si erano ripresi Firenze, che era poi stata riconquistata dai guelfi nel 1267. Allora succedeva che, quando un partito vinceva, a volte si limitava a cacciare gli esponenti dell’altra fazione, ma spesso requisiva i loro beni, a volte li condannava addirittura a morte.
La sconfitta definitiva dei ghibellini però non porta pace nel comune: i fiorentini sono un popolo riottoso perché non passa molto tempo che i guelfi iniziano a litigare tra loro fino a dividersi in bianchi e neri: l’oggetto del contendere è la misura dell’ingerenza papale nella politica del Comune.
Nuove divisioni portano nuovi conflitti e Dante, che in quel momento è coinvolto nell’amministrazione di Firenze, ne fa le spese.
Le opere più importanti di Dante Alighieri
Moltissime sono le opere di Dante, considerato il padre della lingua italiana e il testimone per eccellenza del Medioevo. Lui scrive sia in latino che in volgare ma intende dimostrare che il nuovo idioma della penisola non ha nulla da invidiare al latino. Troppe sono le opere per parlare di tutte, facciamo quindi una scelta.
La Vita Nova
La più importante opera giovanile è la Vita nova, scritta tra il 1293 e il 1295.
Dante è innamorato di Beatrice, ma la fanciulla muore, probabilmente di parto nel 1290. Questo porta Dante a voler raccontare la storia del suo amore per lei. Si tratta di una relazione platonica in cui Beatrice è la donna angelo che non solo fa innamorare Dante, ma che lo aiuta a elevare il suo animo.
Tutta la vicenda, il racconto di come Dante ha vissuto l’amore per Beatrice, è narrata parte in prosa e parte in poesia: la forma è quindi quella del prosimetro.
Con quest’opera Dante Alighieri definisce lo Stilnovo e inaugura una nuova concezione dell’amore, in cui ragione e virtù vanno a braccetto. Beatrice è una creatura angelica, è colei che porta beatitudine e sarà colei che porterà il poeta nientemeno che in Paradiso.
Il Convivio
Il Convivio scritto tra il 1303 e il 1308 è un’opera che rimane incompiuta. Anche questo ha la forma di prosimetro e secondo le intenzioni del poeta avrebbe dovuto comprendere una quindicina di trattati filosofici.
Per quale motivo Dante attribuisce un titolo che ha il sapore della festa a un trattato filosofico? Dante si pone come un esperto padrone di casa: apre le porte del suo sapere e ci invita alla tavola della conoscenza. Nel suo banchetto virtuale le composizioni poetiche fungono da vivande e il pane dalle spiegazioni in prosa. Sarà la cultura a nutrire l’anima dei convitati; ad esempio alla Filosofia spetta il compito di consolare Dante per la morte di Beatrice.
Il Convivio è scritto in volgare, la lingua parlata dal popolo e dalla borghesia imprenditoriale dell’epoca. Dante Alighieri scrive in testo in volgare perché vuole che anche chi non conosce il latino, possa accedere alla cultura.
Il suo atteggiamento è straordinariamente moderno: lui vuole che tutti accedano al sapere ed è certo che la lingua volgare sia in grado di veicolare qualsiasi contenuto, anche il più elevato.
Il De Vulgari Eloquentia
Il De vulgari eloquentia è stato scritto sempre nei primi anni di esilio, tra il 1303 e il 1305. Anche quest’opera rimane incompiuta. Come si evince dal titolo qui Dante Alighieri ha usato il latino.
L’opera, il cui titolo significa ‘discorso intorno alla lingua volgare’, si pone l’obiettivo di spiegare ad un pubblico dotto, che quindi conosce il latino, le potenzialità nella nuova lingua. Dante esordisce presentando la storia della lingua, dalla lingua originaria, l’ebraico, fino all’affermazione di quelle della sua contemporaneità.
Nella seconda parte afferma che deve esserci una precisa corrispondenza fra la lingua, lo stile e il contenuto di un’opera. Dante parla di stile
- alto, o “tragico“,
- intermedio o “elegiaco“,
- basso, o “comico“.
Ad ogni stile corrisponde la sua tipologia di lingua, di forma poetica e di temi affrontati.
Il De Monarchia e le Epistole
Il De monarchia è un trattato politico, anch’esso scritto in latino di cui non è chiara la datazione; sappiamo che è stato scritto durante gli anni dell’esilio.
In quest’opera Dante Alighieri parla della relazione tra il potere monarchico e quello papale.
Bisogna sapere che durante il Basso Medioevo tra imperatore e papa scoppiavano spesso scintille perché entrambi volevano essere riconosciuti come l’autorità per eccellenza.
L’idea di Dante è che imperatore e papa siano due autorità hanno specificità diverse:
- l’imperatore deve provvedere alla felicità terrena dell’uomo,
- il papa, e la sua Chiesa, hanno il compito provvedere alla felicità eterna dell’uomo.
Ritiene inoltre che non sia opportuno voler stabilire una gerarchia tra papa e imperatore, ma sostiene che l’imperatore debba provare, nei confronti del papa, una forma di rispetto, come quella che un figlio deve al proprio padre.
Le Epistole, cioè le tredici lettere di Dante Alighieri che sono arrivate a noi, sono anch’esse scritte in latino; alcune trattano di argomenti politici, altre affrontano temi autobiografici.
Sono lettere che Dante scrive a personaggi della sua epoca come Cangrande della Scala, signore di Verona, all’imperatore Arrigo o ad un amico fiorentino.
La Divina commedia
L’opera più importante scritta da Dante Alighieri che gli vale il titolo di Sommo Poeta e che lo rende immortale non solo in Italia ma in tutto il mondo è la Divina Commedia. L’opera viene composta durante il periodo dell’esilio, tra il 1304 e il 1321, anno della morte del poeta.
Nella Commedia, questo era il nome che il poeta aveva scelto, l’aggettivo “divina” è stato introdotto dai primi commentatori in virtù del fatto che il poema trattava un argomento sacro.
Dante Alighieri inizia il poema raccontando di essersi perso.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura, che la diritta via era smarrita” sono i primi tre famosissimi versi con cui inizia questa opera monumentale. Il poeta è in una valle da cui non era mai uscito vivo nessuno e non ci sarebbe riuscito neppure lui se non fosse arrivata, in suo aiuto, l’anima di Virgilio, uno dei più autorevoli scrittori dell’epoca romana, autore dell’Eneide.
Virgilio corre in aiuto del povero Dante e gli spiega che, per uscire dalla “selva oscura”, dovrà attraversare tutti i regni dell’oltretomba.
Il significato allegorico del viaggio è questo: Dante in un momento importante della sua vita, ricordiamo che nel 1300 Dante col priorato è all’apice della sua carriera politica, immagina di affrontare un viaggio nella profondità della sua anima, di guardare ai suoi peccati, e a quelli dell’umanità, di pentirsi, per purificarsi e giungere alla beatitudine.
Virgilio guida così Dante attraverso l’Inferno e il Purgatorio dove affida il poeta a Beatrice che lo accompagna verso il Paradiso.
I regni dell’oltretomba sono descritti minuziosamente.
Sulla terra, sotto la città di Gerusalemme si apre la voragine infernale, che ha una forma di cono rovesciato e che è suddivisa in nove cerchi:
- il primo cerchio ospita il limbo;
- i cerchi dal secondo al quinto ospitano i peccatori di incontinenza, suddivisi in lussuriosi, golosi, avari e prodighi, iracondi e accidiosi;
- il sesto cerchio, intermedio, è occupato dagli eretici;
- gli ultimi tre cerchi sono occupati dai maliziosi che sono suddivisi in: violenti, imbroglioni e traditori
Al centro della Terra è conficcato Lucifero.
Le pene a cui sono sottoposti i dannati sono regolate dalla legge del contrappasso che si basa o sull’opposizione o sulla corrispondenza tra il peccato commesso in vita e la pena da scontare.
Dall’altra parte del globo, Dante immagina il monte Purgatorio che è strutturato in tre parti:
- alla base l’antipurgatorio;
- il Purgatorio vero e proprio che è suddiviso in sette cornici; in ognuna di esse si espia uno dei sette vizi capitali: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia e prodigalità, gola, lussuria;
- il Paradiso terrestre.
Al contrario dell’inferno, nel Purgatorio si incontrano prima i peccati più gravi per andare verso i meno gravi. Il motivo è legato al fatto che più ci si avvicina a Dio, più il male è lontano.
Mentre all’Inferno le anime hanno una destinazione eterna, tutte le anime del Purgatorio attraversano tutte le cornici per purificarsi da ogni peccato.
Nel giardino terrestre Dante incontra Beatrice e saluta Virgilio.
Le anime dei beati risiedono tutte nell’empireo la parte più alta del Paradiso. Dante però immagina che, in occasione del suo viaggio, esse si distribuiscano momentaneamente nei vari cieli del Paradiso per mostrare a Dante regno dei cieli.
Anche il Paradiso è strutturato in livelli diversi; nel cielo
- della Luna sono ospitate le anime di quelli che non rispettarono i voti fatti,
- di Mercurio vengono accolte le anime di coloro che hanno cercato fama e onore,
- del Sole sono riuniti gli spiriti sapienti.
Negli ultimi due cieli, quello delle stelle fisse e il primo mobile, Dante contempla i trionfi di Cristo, della Vergine Maria e degli Angeli.
Giunto nell’empireo, Dante contempla tutte le anime dei beati che formano la «candida rosa», viene poi ammesso alla visione di Dio.
Il viaggio si svolge durante la settimana Santa dell’anno del giubileo, tra il 7 e il 13 aprile del 1300, ma il poeta inizia a scrivere la sua opera nel 1304.
L’opera è composta da cento canti divisi in tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ogni Cantica è composta di 33 canti, il primo canto è di introduzione a tutta la Commedia.
Per l’occasione Dante inventa una forma metrica, la terzina incatenata: tutti i versi sono endecasillabi e tutte le rime si ripetono per sole tre volte.
La Commedia è un poema allegorico-didascalico in lingua volgare.
Con la parola allegorico si intende dire che il poema ha un significato letterale, il viaggio di Dante nei regni dell’oltretomba, ma ha anche un altro significato. Infatti il poeta vuole raccontare il percorso che l’uomo può fare dal peccato, rappresentato dall’Inferno, al pentimento, rappresentato dal Purgatorio fino alla salvezza in Paradiso. Si tratta quindi di un viaggio che porta all’elevazione dell’anima e il testo può essere letto contemporaneamente tenendo conto dei due significati.
Il termine didascalico fa riferimento al fatto che il poeta intende offrire degli insegnamenti ai suoi lettori. Quest’opera infatti è particolarmente importante non solo perché costituisce uno dei pilastri della lingua italiana, ma anche perché mostra la vita e le credenze del Medioevo:
- come si viveva,
- in cosa si credeva,
- di cosa si aveva paura,
- cosa si pensava,
- come si pregava,
- ecc.
Pensiero e poetica di Dante Alighieri
Dante Alighieri è l’intellettuale medievale per eccellenza perché incarna i valori e la cultura del Medioevo.
Formatosi sui grandi dell’antichità, ritiene che il pensiero e gli insegnamenti di Aristotele e di Virgilio siano assolutamente autorevoli e vadano rispettati.
La sua strategia dialettica invece trova fondamento negli insegnamenti di San Tommaso d’Acquino e nella filosofia scolastica.
L’idea che la retorica e l’ars politica debbano essere al servizio della sua comunità di appartenenza provengono dagli insegnamenti di Brunetto Latini, suo amatissimo maestro.
Dante Alighieri diventa uomo retto e onesto, che si mette al servizio del comune di Firenze non appena gliene viene concessa l’opportunità; è per questo che quando viene accusato di baratteria si arrabbia, e non poco. All’inizio cerca di trovare un modo per rientrare nella sua città senza umiliazioni, poi smette di combattere: Dante si rassegna al suo destino e ci regala alcune delle opere più belle che l’umanità abbia mai prodotto.
Nelle sue opere emergono gli elementi fondamentali del suo pensiero.
- Dio è grande ed ha creato un universo perfetto.
- Il motore che muove il mondo è l’amore come dice nell’ultimo verso della Divina commedia “l’amor che move ‘l sol e l’altre stelle”.
- La lingua volgare è perfettamente capace di veicolare qualsiasi tipo di messaggio e lo può fare raggiungendo una forma altissima.
- Chi amministra uno stato dovrebbe essere onesto.
- Il papa è la figura più autorevole sulla terra per gestire le cose dell’anima, ma non per gestire i beni della terra.
- L’uomo sbaglia e questo fa parte della sua natura; deve però guardare ai propri errori per cercare di migliorare sé stesso, perché come fa dire a Ulisse “fatti non foste per viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza”.
Nelle sue opere Dante Alighieri ci mostra la via per migliorare noi stessi. Ma non lo fa con l’arroganza di chi si mette sul pulito col dito puntato; lo fa con l’umiltà di chi riconosce i propri errori “nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai in una selva oscura / che la diritta via era smarrita” e indica, a sé stesso prima e a noi poi, la strada del cambiamento.
E il cambiamento passa prima dal riconoscimento dei nostri errori, poi dal pentimento per arrivare pian piano ad uscire dai circoli viziosi per attivare circoli virtuosi.
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