Specchio delle mie brame di Maura Gancitano, recensione
Indice dei contenuti
Cosa chiederebbe oggi Grimilde, la malvagia regina di Biancaneve, al suo specchio? Maura Gancitano ha una proposta. Mostrami quanto valgo, che non sono pigra, che sono capace di tenere tutto sotto controllo, che sono degna di decoro e stima perché è il mio corpo a dirlo per me, prima di me, nonostante me.
Da quando lo specchio, “da servo delle nostre brame, è diventato il collettore delle nostre paure”, qualsiasi discorso sul corpo si è trasformato in un discorso sull’identità. Un’identità frammentata e auto-oggettivata. Cosa significa? Quando è successo? Come? Perché?
La trama
Specchio delle mie brame riflette, come dichiarato nell’introduzione, su “come la bellezza abbia rappresentato e rappresenti uno strumento di controllo dei corpi, dei pensieri e delle scelte di vita in particolare delle donne, ma sempre più anche degli uomini”. Ragiona, quindi, su come e se sia possibile aprire i cancelli per spiegare le ali verso la propria realizzazione, una possibile libertà, una certa idea di felicità.
La ricerca del bello e del sublime quale accesso alla conoscenza, che ha impegnato l’intera storia della filosofia, da un certo momento in poi ha imbrigliato la bellezza nella ricerca di un canone che si è concentrato sui corpi e sul corpo femminile in particolare. Allo scopo di esercitare un controllo sociale, economico, politico.
È successo quando le donne hanno cominciato ad uscire di casa, minacciando e destabilizzando la cultura maschile predominante. Cultura che si è ingegnata a esercitare un soft-power attraverso il giudizio e la persuasione.
Erano gli uomini a ritrarre le donne, a venderne le immagini, a scrivere con pseudonimi femminili di loro, di come si potesse tenere in ordine la casa, la famiglia, lavorare e vivere una vita coniugale felice.
Erano gli uomini a medicalizzare la cellulite, la depressione, l’euforia, la gravidanza, la menopausa. A costruire attraverso il cinema l’immaginario della donna perfetta o da evitare. Gli uomini a insinuare nella mente delle donne il metro di giudizio attraverso cui valutare sé stesse. A costruire la loro promessa di felicità attraverso un’insoddisfazione continua fatta di ideali il cui raggiungimento tanto ha avuto a che fare con differenze di casta, di etnia e di reddito, oltre che di bersagli in continuo movimento.
Il mito della bellezza
Il mito della bellezza nasce con la società borghese, intorno al 1830, con il diffondersi delle nuove tecnologie fotografiche che ritraggono corpi femminili.
Questa bellezza è un mito costruito a tavolino, una grammatica che abbiamo imparato bene, una vera e propria programmazione.
Un mito che sposta fuori di noi la nostra attenzione, consuma le nostre energie, ci tiene sotto scacco attraverso l’ansia, la frustrazione e la vergogna rispetto a un giudizio che non è solo estetico, ma morale. Il controllo fisico si trasforma in un controllo emotivo e psicologico che funziona al meglio ogni volta che, guardando o ascoltando una donna, la nostra attenzione si concentra sul trucco, l’abbigliamento, la taglia, la pettinatura. Maura Gancitano è una filosofa.
Il suo discorso sulla bellezza si srotola sul filo di una riflessione partita negli anni ’90 con l’americana Naomi Wolf nel suo libro Il mito della bellezza, appunto. Più le donne sono istruite e appaiono emancipate più di questo mito diventano schiave.
Un mito che non ha risparmiato nessuno. “In questo tranello cadde anche la prima ondata del movimento femminista, che ebbe il merito di ridiscutere tutte le strutture sociali, ma finì col rappresentare sempre corpi bianchi, magri e naturalmente bellissimi. Le femministe dovevano dimostrare di essere civili e di meritare il diritto di voto, e per opporsi alla derisione costante degli anti-suffragisti che le disegnavano brutte e grasse, le suffragette cominciarono a rappresentarsi giovani, bianche, magre e seducenti”, riporta la Gancitano citando la Wolf.
Specchio delle mie brame
L’immagine fotografica della donna è diventata un’immagine frammentata. Tanti sono gli studi, per lo più americani, citati dalla Gancitano che lo dimostrano.
L’indugio sui dettagli, gambe, cosce, seno, braccia, bocca, capelli ha fratturato l’attenzione e lo sguardo. Ogni dettaglio avrebbe potuto essere migliorato, grazie ai miracoli della cosmetica e della chirurgia. Miracoli promessi da sempre nuove scommesse di felicità. Prodotti da acquistare e penitenze da espiare ad ogni minimo cedimento o debolezza, perché, come recitava la stessa Helena Rubinstein agli inizi del ‘900 per vendere i suoi prodotti: “Non esistono donne brutte, ma solo donne pigre”.
Il monitoraggio abituale del corpo, il guardarsi in terza persona, l’auto-oggettivazione, appunto, “riempie e intossica i pensieri quotidiani e le risorse intellettuali ed emotive che potrebbero essere destinate alla propria crescita personale e professionale”.
La mancanza di compassione, di comprensione diventa un’impossibilità di autoassoluzione e perdono. Da qui alla malattia, al disturbo alimentare, alla depressione, all’insoddisfazione sessuale, il passo è brevissimo.
La prigione della bellezza
Se la donna ha dovuto dimostrare prima di tutto a sé stessa di essere all’altezza della civiltà addomesticando un corpo affinché si presentasse adeguato e misurato, l’uomo ha potuto impegnare le sue energie dimostrando di essere una persona capace di fare.
Qualcosa oggi sta cambiando anche per lui.
L’auto-oggettivazione è alle porte, anzi è già cominciata. Per fare in modo che non si costruisca una nuova grammatica maschile è bene che sul riconoscimento della programmazione femminile, uomini e donne lavorino a fianco. Non è possibile il lavoro degli uni senza le altre e viceversa. Dalla prigione si esce insieme.
Uscire dalla prigione ha a che fare con il riempimento della parola bellezza di altri significati. La bellezza è una tensione, un’esperienza verso il raggiungimento di un obiettivo dove la misura del corpo scompare e si trasforma in un’energia talmente potente da riuscire a influenzare e modificare tutto ciò che ci circonda.
Maura Gancitano ha una proposta anche per questo. Una proposta dove lo specchio scompare?
La nostra recensione
Quante volte ti sei scusata per il tuo aspetto anche quando ci hai dedicato tempo e risorse? E per il disordine in casa o sulla scrivania o nel frigo? Qual è stata la prima volta che ti sei sentita inadeguata? E l’ultima? Cosa rispondi a tua figlia quando ti chiede se è bella? Quanta paura hai di trasferire su di lei i tuoi difetti? Quanto del tuo stipendio bruci nella cura del tuo corpo? Quand’è che ti sei sentita realizzata? Cos’è per te la felicità? Dove sta il tuo talento e come lo stai aiutando a crescere? Quanto ti pesa specchiarti nel monitor durante una call? Quanto tempo impieghi a studiare i dettagli dei corpi femminili sulle riviste o sui social? E quanto alle relazioni? Le altre donne sono rivali o amiche? Cosa stavi cercando quando non lo hai trovato? Chi sei?
Specchio delle mie brame è un libro generativo di domande. Domande a cui l’autrice stessa non è immune, e lo dichiara. Racconta una storia sulla storia del corpo femminile per narrare una storia di costruzione di senso e di identità. Un libro che suggerisce uno sguardo, apre una strada.
Un libro che non salva nessuna e che neanche desidera farlo. Ma che impone di fermarsi a osservare lo spazio che pensiamo di occupare. Piacersi o volersi piacere di più non è una colpa se è piacere e non compiacimento di scelte operate da altri. È un libro che tende alla consapevolezza, intesa come percorso di conoscenza.
Non so se sia possibile disimparare una grammatica, sarebbe come dimenticare una lingua madre?, ma è sicuramente possibile studiarla per utilizzarla al meglio, senza giudizio morale o di genere, semplicemente in maniera orientata a obiettivi propri.
Non so neanche se di grammatica e di programmazione vera e propria si tratti, ma riconosco gli effetti di quanto qui è raccontato. Tanto è bastato per meritare la mia attenzione.
Nessun prodotto trovato.
Ti consiglio di leggere Specchio delle mie brame se la tua porta di accesso alla realtà è orientata alla ricerca di senso più che a ricette preconfezionate.
Non troverai indicazioni pratiche o esercizi da seguire per fare un percorso verso la tua realizzazione. Guardarti allo specchio, però, non sarà più come prima. Tornare protagoniste del proprio sguardo su di sé può significare diventare protagoniste della propria vita. Riconoscere cosa stiamo guardando quando riflettiamo la nostra immagine nello specchio ci permette di oltrepassarlo se l’immagine riflessa è tutta intera.
C’è una forza che ci abita, che può permettersi di perdere il controllo senza per questo sentirsi inadeguatamente fragile. Dopo secoli di giudizio possiamo dimostrare di avere paura quando la abbiamo, senza sentirci inferiori. Non è la nostra natura ad averci condannate, qualsiasi significato privato o pubblico vogliamo dare a questa parola, è una cultura che ci ha temute e giudicate.
Maura Gancitano termina il suo viaggio con una dedica che riporto per intero. Mi auguro ti possa far venire voglia di trovare uno spazio protetto in cui continuare a crescere, cercarlo e coltivarlo. Magari partendo proprio da questa lettura e, perché no, da un messaggio per noi.
Questo libro è per chi ha pratica di pozzi, per chi sa che i pozzi possono essere la sua forza, e può trovare il coraggio per raccontarli senza più paura e senza più vergogna.