Violenza sulle donne: come combatterla

violenza sulle donne come combatterla

Varie discipline e branche del sapere indagano sulla violenza sulle donne e su come combatterla. Sicuramente la sociologia è fra queste.

Naturalmente, qualsiasi fenomeno va indagato e conosciuto per poterlo contrastare e rimuovere. Per questo motivo noi sociologi ci interroghiamo, osserviamo, raccogliamo dati ed effettuiamo ricerche per capire le origini dei problemi e possibilmente indicare soluzioni.

Per me l’interesse è duplice: in quanto sociologa e in quanto donna.

Dal punto di vista della studiosa, questa epoca è incredibilmente interessante: il mondo si è trasformato con una velocità impensabile per le generazioni precedenti. La rivoluzione tecnologica ha infatti scardinato, in ogni settore dell’esistenza, i tempi e i ritmi, e quella digitale che ne è derivata ha aperto i nostri ambiti sociali a confronti globali e modificato sostanzialmente tutta la nostra vita.

Sono cambiati i valori, ovvero la base su cui costruiamo le nostre decisioni stabilendo quotidianamente cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Sono cambiati i comportamenti e le abitudini sociali, esponendo ciascuno di noi ad insicurezza e sforzi di adeguamento a codici che a volte non sono intelligibili o decifrabili.

Su questo cambiamento epocale si innestano questioni irrisolte dal secolo scorso.

Violenza sulle donne: riflessioni

Una volta veniva chiamata “emancipazione femminile”: è il lungo percorso che ha portato al voto femminile, nel 1948, o alla richiesta di pari salario per uomini e donne, che è ancora sul tappeto.

È la storia di una società patriarcale che malvolentieri cede spazi di libertà, di qualsiasi genere, a noi donne.

È anche la storia di squilibri sociali. Mentre apparentemente lo spazio ed il ruolo delle donne sembrano evolvere verso una sostanziale parità, ci rendiamo conto che scardinare gli equilibri precedenti scatena una forza che si ritorce contro di noi.

Da più parti si evoca un aumento della fragilità dell’immagine e del ruolo maschile posti a confronto con la forza delle donne. Purtroppo, spesso la reazione maschile è un tentativo brutale e cieco di riportare le cose “al loro posto” evitando il confronto e la crescita.

È la storia dei padri-padroni che dettano legge sulle vite e sui corpi delle mogli e delle figlie.

È la storia di mariti e fidanzati che rinchiudono le compagne a casa e nei ruoli cosiddetti naturali e che naturali non sono per niente.

È la storia di donne che si ribellano, che vogliono decidere, vivere, pensare, senza chiedere il permesso a nessuno e che per questo vengono brutalizzate.

Sarebbe sbagliato tuttavia colpevolizzare solo gli uomini che aggrediscono e spesso odiano le donne: è evidente che si tratta di un problema culturale, non solo italiano ma purtroppo globale, e che va affrontato con le leve del cambiamento generazionale.

La nostra società potrebbe essere radicalmente diversa se tre generazioni di donne si impegnassero collettivamente a trasmettere una cultura di parità e di mancanza di discriminazioni.

Al momento però non c’è unità nel pensiero femminile e spesso sono trasmessi acriticamente i valori ricevuti nella famiglia d’origine.

Spesso anzi il pensiero delle attiviste viene visto con fastidio perché ritenuto estremo, evidenziando difetti di comunicazione: dovrebbe essere più accurata, persuasiva, coinvolgente.

Allo stato attuale quindi siamo un arcipelago, tante piccole isole poco collegate, con qualche raggruppamento qua e là, una voce flebile nel panorama sociale, un compito fondamentale da assolvere e molta solitudine nel portarlo avanti.

I nostri mezzi per affermare le istanze di reale parità e mancanza di discriminazione e sessismo sono limitati e spesso affidati alla volontà individuale.

Ciascuna di noi deve misurarsi con una personale conquista e contribuisce, anche non consapevolmente, alla costruzione di spazi comuni, conquiste condivisibili, al mutamento di percezione e di opinione.

Ecco perché è importante, anche in questo ambito, condividere il più possibile  la propria storia di conquiste, la propria personale “cassetta degli attrezzi”, perché in ogni ambito del vivere si possa essere d’ispirazione e confronto per chi in quel momento si trovi ad affrontare una situazione che ci ha visto protagoniste.

Nella vita quotidiana spesso è presente la violenza sulle donne.

A volte in forma subdola, come sono spesso certe attenzioni non gradite, nei luoghi di lavoro o in contesti sociali; a volte in forma esplicita e aggressiva, come può accadere, purtroppo, anche in famiglia.

Ma anche per strada può succedere che una donna perda quello che la caratterizza come persona,  per colpa di un aggressore che la vede solo come una preda.

La storia di conquiste in questo ambito, che ci tocca tanto profondamente e che tanto profondamente può ferirci, è fatta di consapevolezza e soprattutto di rifiuto.

Rifiuto di essere una vittima e consapevolezza che “io posso” addestrarmi, essere vigile, reagire, scegliere, sconfiggere.

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Violenza sulle donne: ricerca

La violenza sulle donne è un fenomeno difficilmente misurabile poiché in gran parte sommerso.

Per le violenze in famiglia c’è difficoltà a denunciare per via dello sconvolgimento che rompe gli equilibri di tutti i componenti della famiglia; ma tutte le forme di violenza subìta comportano un alto livello di reazioni emotive e psicologiche difficili da districare a favore di una narrazione.

Per questo motivo ricerche e raccolte dati sono di fondamentale importanza.

Le ricerche su base nazionale sono quelle svolte da Istat, e che indagano non solo la violenza vera e propria, ma anche aspetti della vita quotidiana che evidenziano una forte differenza di genere.

Nel 2014 Istat ha sviluppato una indagine su “I tempi della vita quotidiana” che ha evidenziato una forte disparità di genere: gli uomini italiani (e anche quelli greci) sono i fanalini di coda per le attività domestiche, quello che viene definito lavoro non retribuito.

Anzi, specifica Istat, le donne svolgono il lavoro monotono e ripetitivo, gli uomini si dedicano ai lavori domestici quali giardinaggio, bricolage, riparazioni varie.

Nella ricerca viene indagato il tempo dedicato alla cura dei figli, e come sbagliarsi, anche lì i padri giocano, parlano, guardano la tv con i figli, mentre le madri si occupano dei lavori ripetitivi e aggiungerei frustranti quali gli accompagnamenti a scuola e alle varie attività extrascolastiche, la sorveglianza, la cura fisica.

Noi donne insomma lavoriamo di più, dentro e fuori casa, ma anche se ci rendiamo conto di contribuire maggiormente nel lavoro domestico, solo nel 24,4% dei casi chiediamo al partner un maggiore impegno.

Ciò naturalmente rinforza lo stereotipo maschile: più della metà delle popolazione maschile è convinta che sia giusto che l’uomo lavori fuori casa per provvedere al sostentamento economico della famiglia e che la donna si occupi della cura della casa e dei figli.

E questo perché nei lavori domestici, così come nella cura dei figli, le donne sono insuperabili; oppure (ed è un terzo dei partecipanti alla ricerca ad affermarlo) è giusto così: anche se entrambi sono impiegati a tempo pieno, dei lavori domestici e della cura dei figli è giusto che si occupino le donne.

Disgraziatamente, anche il 46% delle donne partecipanti alla ricerca la pensa allo stesso modo e trova giusto e naturale il modello di famiglia tradizionale.

Et voilà, bentornati anni ’50.

È comprensibile che il modello di famiglia tradizionale sia riposante, mentalmente parlando, come lo sono tutte le cose ordinate e senza sbavature, in cui si sa chi deve fare cosa e perché.

Dato che però agli stereotipi non si accompagna la solidità tradizionale delle famiglie, né tanto meno il boom economico degli anni ’50 e ’60, può succedere che i malumori, le paure, le tensioni vengano scaricate tutte in famiglia, disgregando le coppie e facendo dileguare i sentimenti.

Agli stereotipi culturali si associano facilmente rabbia, senso di impotenza, gelosia quando la coppia inizia il percorso di allontanamento, di mancanza di comunicazione.

È il brodo di coltura da cui emergono aggressioni, proibizioni, violenze psicologiche, fisiche e spesso anche sessuali.

Ormai è chiaro quale sia il retaggio che costituisce la struttura profonda della nostra società e in cui si verificano atti di violenza contro le donne, molto più diffusi di quanto pensiamo e certamente di quanto vorremmo.

Il ruolo di indagini e ricerche è di fondamentale importanza.

Bisogna specificare che non sono importanti solo per comprendere il fenomeno, ma anche per definire e diffondere gli elementi prescrittivi indispensabili per difendersi.

Moltissime donne infatti ignorano a chi rivolgersi in caso di necessità, quali sono i comportamenti corretti da adottare per prevenire aggressioni e violenze, e non sanno se rientrano nelle categorie maggiormente a rischio.

Anche se sul piano normativo è dal 1996 che si legifera, in Italia, sulla tematica, è solo dal 2006 che sono iniziate le raccolte dati e le indagini su scala nazionale, ad opera dell’Istat, anche se purtroppo il sommerso (o “dark number”, il numero scuro – rende meglio l’urgenza di emersione) ostacola molto la definizione piena del fenomeno, che, bisogna ricordarlo, include violenza fisica, psicologica e sessuale.

Chi sono e quante sono le donne che hanno subìto violenza e l’hanno denunciata?

Sono separate o divorziate, tra i 25 e i 44 anni, tra le più istruite, con posizioni professionali più elevate oppure in cerca di prima occupazione le donne che hanno subìto violenze fisiche e sessuali.

A rischiare di più stupro e tentato stupro sono le donne più giovani, in cerca di occupazione, le dirigenti, le imprenditrici e le libere professioniste, le studentesse, nubili, separate o divorziate.

I numeri sono questi: il 31,5% delle donne di età compresa fra 16 e 70 anni ha subito nel corso della vita qualche forma di violenza fisica o sessuale.

Diffusa la violenza fisica dal partner (13,6% dei casi) ma anche da non partner: 13,2% da sconosciuti, e il 13% da persone conosciute quali colleghi di lavoro, amici, parenti e conoscenti; va sottolineato che sono queste le categorie che esercitano le forme più gravi di violenza, sia fisica che sessuale, mentre gli sconosciuti sono per lo più autori delle molestie sessuali.

L’Istat sottolinea alcuni fattori di rischio che sono in realtà le maggiori opportunità di cambiamento.

I figli che assistono alla violenza in famiglia contro la madre, o quelli che l’hanno subìta, hanno probabilità maggiori di esercitare violenza contro le proprie compagne e le proprie figlie.

Non accettare violenza dal partner o da sconosciuti si configura quindi come un atto di responsabilità non solo verso se stesse, ma anche nei confronti dei propri figli e e delle generazioni future.

Violenza sulle donne in Italia

In Italia il legislatore ha dato spazio alle istanze nazionali, con l’adozione della legge denominata “Codice Rosso”, ma anche ratificando il lavoro svolto a livello europeo ed internazionale.

Fin dal 1990 l’Unione Europea ha promosso la protezione delle donne dalla violenza, sulla scia della “Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (ONU, 1979).

Il percorso è sfociato nella tappa miliare che è la Convenzione di Istanbul del 2011, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante “sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica”, riconosciuta una violazione dei diritti umani e una discriminazione.

Come abbiamo visto proprio con la Convenzione di Istanbul, la vigilanza deve essere costante…c’è sempre qualcuno che intende spadroneggiare sulla nostra metà del cielo.

L’Agenda 2030 dell’ONU ha posto la fine delle discriminazioni e delle violenze contro le donne fra gli obiettivi globali. E l’Unione Europea ha fatto propri tali obiettivi, rimodulando programmi e bandi di finanziamento per le attività da svolgere in tale direzione.

A questo naturalmente si aggiungono le normative nazionali.

Ci appare così un grande mosaico in cui ciascuno fa (o dovrebbe fare) la sua parte.

I legislatori, i politici, gli organi di informazione che sono invitati costantemente a individuare forme di discriminazione e sessismo a partire da se stessi, le Reti antiviolenza che svolgono un eccellente lavoro e denunciano con forza ogni violazione, il movimento delle donne.

Ciascuna di noi ha un importante compito da svolgere, che è quello dell’autoanalisi, per riconoscere eventuali forme di discriminazione di genere nella mentalità e nei comportamenti.

È più comune di quanto si pensi, ed emerge spesso.

Segue l’adozione di un codice di valori e comportamenti.

Per esempio, nei confronti del partner, adottare la regola “mai uno schiaffo“: se si arriva allo schiaffo, facilmente si può proseguire fino a forme più gravi. E perché poi una donna dovrebbe accettare uno schiaffo dal suo compagno?

Una questione importante da dirimere, per ogni donna: adattarsi al mondo circostante o pretendere di piegarlo ai propri principi?

Sono assolutamente a favore del primo punto.

Se ci adattiamo al mondo circostante dobbiamo innanzi tutto vederlo per quello che è, e questo ci consente di approcciarlo realisticamente. Di vederlo come un luogo in cui rischiamo di essere molestate, aggredite, oggetto di violenze di vario genere. Vale anche per i bambini, naturalmente.

Con questa consapevolezza possiamo prendere opportune contromisure. Possiamo evitare di creare occasioni rischiose, soprattutto se rientriamo nelle categorie a rischio citate prima.

Il Ministero delle Pari Opportunità ha creato un sito e un numero di telefono, il 1522, che va assolutamente diffuso e tenuto presente.

Sul sito www.1522.eu è presente un prezioso vademecum, il Decalogo: 10 importanti suggerimenti su comportamenti per la nostra sicurezza da adottare per strada, sui mezzi pubblici, in macchina.

Al punto n. 2 del Decalogo troviamo una prescrizione davvero utile: “essere presenti – vigili”.

Cosa significa? Non vuol dire avere paura, anzi essere lucide è sempre di fondamentale importanza, vuol dire essere attente.

Attente al luogo in cui ci troviamo, alle persone che ci circondano.

Dobbiamo allenarci a pensare alla nostra sicurezza, soprattutto se siamo sole, e quindi fare una mappa mentale osservando attentamente il luogo in cui ci troviamo (illuminazione, vie d’uscita, ostacoli, atteggiamento delle persone, ubicazione di pubblici esercizi che possano esserci d’aiuto come bar e farmacie, ecc.).

Oltre all’attenzione, alleniamo anche l’istinto e diamogli retta.

Dentro di noi abbiamo catalogato centinaia di migliaia di atteggiamenti, comportamenti, espressioni facciali ecc., e le abbiamo suddivise in allarmanti e normali. Il nostro istinto si baserà su questo per allertarci, quando ci troveremo davanti qualcosa di allarmante.

Per cui, se ci troviamo in strada e abbiamo davanti un gruppo di persone che fanno suonare il nostro campanello d’allarme, diamogli retta e cambiamo marciapiede, prendiamo il telefonino e chiamiamo qualcuno o almeno facciamo finta di farlo.

Se il marciapiede è buio e la strada lo permette, meglio camminare per strada. Sarà più facile attirare l’attenzione.

Se siamo in un luogo senza bar o farmacie aperti e abbiamo bisogno di aiuto, gridiamo con forza “Al fuoco! al fuoco!”. Questo farà affacciare persone molto più che una generica richiesta di aiuto.

Infine, se dopo attimi di tensione per una minaccia (reale o presunta) siamo finalmente vicine a casa, non abbassiamo la guardia e controlliamo chi abbiamo alle spalle prima di aprire il portone.

In sintesi:

  • allena l’attenzione;
  • ascolta il tuo istinto;
  • quando sei sola in strada fai una mappa di sicurezza e rileva esercizi commerciali, bar, farmacie, traverse che possano fungere da via di fuga;
  • se la strada che stai percorrendo è buia, verifica la possibilità di scendere dal marciapiede e camminare in strada vicino alle macchine, sempre che sia possibile senza rischi. Cammina in senso contrario alle auto.

Sul Decalogo del 1522 i suggerimenti sono formulati da esperte e basati sull’esperienza di molte donne. E’ importante leggerli e riflettere un po’.

Il 1522 è anche il numero di telefono sempre attivo per segnalare violenze e stalking. Le operatrici, formate e con anni di esperienza, prendono in carico ogni situazione con le modalità adeguate e personalizzate, e sono di reale supporto nell’avviare un percorso di soluzione.

E’ importante diffondere queste informazioni perché non tutte le donne sanno cosa fare e a chi rivolgersi in caso di necessità.

In conclusione, voglio raccontarvi perché ho voluto fortemente occuparmi di questa tematica…non solo per competenze come potrebbe sembrare.

Avevo 7 anni quando ho subìto per la prima volta attenzioni inappropriate, 10 anni la seconda. A 13 ho subìto un’aggressione sessuale che non si è conclusa con lo stupro solo perché ho reagito con tutte le mie forze, moltiplicate dall’adrenalina. Da allora mi sono sentita vittima, e ci sono voluti 33 anni più un’occasione importante come il lavorare in carcere con un gruppo di stupratori, perché riuscissi a mettere a fuoco che il mio comportamento non era stato assolutamente da vittima, e che mi ero salvata da sola.

Purtroppo accadde nel 1969, mia madre non ebbe la capacità di aiutarmi né di spiegarmi, non c’era una consapevolezza diffusa sulla necessità di affrontare un trauma come quello, e l’elaborazione l’ho fatta da sola e male.

Tralascio le conseguenze, che sono afferenti alla mia sfera più intima, per evidenziare cosa ho modificato da allora.

Ho indossato abiti femminili solo raramente, preferendo jeans e scarpe basse per agevolare la fuga.

I miei lunghissimi capelli biondi sono stati tagliati a zero.

Ho imparato a sentirmi una combattente ogni volta che sono uscita di casa. E ho imparato a reagire a tutte le molestie di ogni genere, verificando che è necessario farlo.

Ho rincorso e gridato con tutto il fiato che avevo in gola contro chi si è permesso qualsiasi cosa non autorizzata nei miei confronti, se sconosciuti per strada, mentre  conoscenti li ho sistemati senza alzare la voce e senza accettare comportamenti o gesti inopportuni.

E consiglio a tutte le donne di reagire, sempre, con forza, e con la consapevolezza che è necessario farlo non solo per se stesse, ma per tutte quante noi.