Bias cognitivi: come funzionano nello sport?

Bias cognitivi come funzionano nello Sport

Io penso tanto, talvolta troppo.

E da appassionata di sport quale sono qualche settimana fa mi sono chiesta: “ma i bias cognitivi come funzionano nello sport?”.

Una domandina da tutti i giorni vero?

Sono sempre stata tremendamente affascinata da come e perché prendiamo decisioni e cosa fa sì che optiamo per una o l’altra strada.

Decidere di fare qualcosa è il frutto di informazioni che abbiamo ricevuto fin da quando siamo nati.

Informazioni legate al contesto familiare, scolastico, sociale e che vanno a comporre i nostri valori, le nostre credenze e, di conseguenza, la nostra realtà.

Sapere dunque che potremmo prendere decisioni dettate da situazioni che abbiamo assorbito e vissuto piuttosto che frutto della nostra volontà mi spinge a mettermi sempre in discussione, aprendo la mente alle possibilità e all’ascolto, di me stessa e di ciò che mi circonda.

Perché dico questo? Perché il nostro cervello è un gran pigro, e come tale è un grande economizzatore di decisioni: prende quelle più semplici, rapide e facili.

Potete immaginare cosa significa applicare questo processo decisionale allo sport? Personalmente sono convinta che abbia una grande influenza ma volevo avere delle evidenze scientifiche e ho provato a fare delle ricerche per andare un po’ più a fondo.

Innanzitutto questo approccio così “parco” alla decisione del nostro cervello prende il nome di euristica del pensiero, ovvero la scorciatoia mentale che prendiamo per attuare delle scelte.

Questa strategia di per sé non è sbagliata, poiché ci permette di essere rapidi ed efficienti durante le scelte che quotidianamente siamo chiamati ad affrontare.

Un esempio? Quando ci capita di stupirci per essere arrivate in macchina “automaticamente” nel nostro posto di lavoro poichè ci è sembrato di non essere state “coscienti” di percorrere quella strada.

In realtà il nostro cervello ha immagazzinato e memorizzato il percorso che facciamo sempre e non richiede ogni volta di capire che strada fare. È un’azione che compiamo istintivamente, senza doverci riflettere. In questo modo si risparmiano tempo ed energie.

Il vero problema subentra quando questa “strategia del risparmio” ci conduce verso deduzioni errate. Parliamo in questo caso di bias cognitivi.

Perché i bias cognitivi influenzano la nostra vita

In soldoni, i bias cognitivi sono i pregiudizi che ci muovono nel giudicare, nell’agire verso qualcuno, nel prendere decisioni nella nostra vita.

Questi pregiudizi sono insiti in noi ed essendo parte del nostro substrato emotivo e cognitivo agiscono come degli automatismi mentali perché si attivano senza un vero e proprio controllo razionale da parte nostra.

Infatti quello che possiamo definire pilota automatico del cervello ci fa incorrere in veri e propri errori di valutazione volendo agire in fretta o dando per scontato di possedere tutte le informazioni necessarie per esprimere un giudizio o prendere una decisione.

Questi pregiudizi cognitivi sono causa di importanti distorsioni della realtà e di errori sistematici nel giudizio, nella conoscenza e nel ragionamento (wikipedia).

Il nostro pilota automatico di fatto ci fa dare per scontata la soluzione (un giudizio o una decisione da prendere) senza cercare nuovi punti di vista o differenti opportunità.

Non immagineresti mai quanto siamo influenzabili dai nostri pregiudizi e quanto sia automatico esserne vittima.

Ti fornisco, tra i tanti che potrei farti, 3 esempi:

  1. quando vedi una persona di bell’aspetto e vestita in maniera elegante sei immediatamente propensa a considerarla autorevole o intelligente rispetto ad una trasandata (effetto alone).
  2. Una macchina sfreccia sulle strisce pedonali senza fermarsi: sei portata subito a pensare che il guidatore sia un pazzo irresponsabile senza prendere in considerazione la possibilità di un malore (errore di attribuzione).
  3. Ti sei fidanzata a 20 anni e dopo 10 anni ti sei sposata senza nemmeno pensare se fosse proprio quello che volevi, perché ormai tutti si aspettavano quell’epilogo (effetto carrozzone).

Si lo so, adesso ci starebbe bene l’emoticon stile “urlo di Munch”!

Puoi iniziare a comprendere dunque quanto i bias cognitivi influenzano la nostra vita e perché sia così difficile rendersi conto di quando agiscono?

Non a caso quella dei bias è una materia molto studiata dalla psicologia e dalle neuroscienze e molto utilizzata in marketing, in comunicazione e nella costruzione della cosiddetta user experience in ambito on e off line, ivi incluso il processo di acquisto, per favorire un dato comportamento da parte dei clienti o potenziali tali.

Ma come funzionano i bias cognitivi in ambito sportivo?

Come scritto in apertura di articolo sono appassionata di entrambe le materie ed ero estremamente curiosa di capire come i bias potessero applicarsi allo sport.

Non lo sport dei campioni bensì lo sport di tutti i giorni, quello fatto per stare in forma e sentirsi bene.

E cercare in questo contesto come agiscono i bias cognitivi non solo a favore ma anche contro l’attività sportiva, ovvero quali scorciatoie applica la nostra mente per evitare di iniziare a fare movimento.

Bias cognitivi e sport: vantaggi e svantaggi

La cosa incredibile, almeno per me, è che in realtà le ricerche che ho fatto presso siti italiani e stranieri, con studi annessi, non hanno riportato grandi risultati relativamente a bias cognitivi e sport non agonistico.

Mi spiego.

Ciò che ho ottenuto è perlopiù legato all’impatto che hanno i bias cognitivi sui coach di grandi team sportivi, sui commentatori sportivi, sui fan e sugli atleti impegnati in attività agonistica.

Ad esempio in un blog scientifico americano, che ha analizzato linfluenza dei bias sugli allenatori sportivi e le loro strategie di gioco, emerge come questi impongano ai propri giocatori azioni, cambi e strategie sulla base dei loro “intuito ed esperienza”.

E questo nonostante, in preparazione ad importanti partite, fosse stato mostrato loro la necessità di prendere altre decisioni supportate da evidenze statistiche derivanti da analisi di precedenti partite e di algoritmi appositamente studiati.   

Perché questo comportamento?
Gli allenatori sono come tutti noi: cercano solo conferma alle loro intuizioni e ignorano ciò che contraddice la loro convinzione.

Questo processo mentale si chiama bias di conferma secondo il quale l’essere umano tende a muoversi all’interno delle proprie convinzioni acquisite.

Ma il mio obiettivo è vedere come i bias cognitivi impattano su chi dovrebbe iniziare una attività sportiva ma accampa scuse e su chi già fa sport e può incorrere su alcuni pregiudizi mentali.

Ho deciso pertanto di provare personalmente a fare delle associazioni, ragionando sulla mia esperienza di sportiva e di allenatrice unitamente alle evidenze scientifiche sui pregiudizi cognitivi.

Parlare di vantaggi e svantaggi dei bias cognitivi nello sport è una divisione semplice e fruibile per provare ad evidenziare come potremmo sfruttarli a nostro vantaggio e come invece, conoscendoli, potremmo fermarci a pensare ed evitare di caderci.

Il motivo per cui i bias cognitivi sono insidiosi è perché sono naturali.

Si attivano in modo talmente inconscio che nel nostro ragionamento istintivo noi siamo assolutamente convinte di essere nel giusto.

Proviamo quindi ad applicare alcune trappole mentali ordite dal nostro cervello al mondo dello sport e vediamo come possono rivelarsi nefasti o essere sfruttati a nostro vantaggio.

Svantaggi

Il bias dell’inazione. Ebbene sì, esiste un vero e proprio bias che ci fa preferire l’inazione rispetto a qualsiasi azione, anche la più piccola.

Il “costo” di muoverci è superiore al vantaggio. E quindi rimaniamo immobili.

Questo inganno del cervello lo lego ad un altro altrettanto insidioso, il bias dell’avversione alle perdite, in cui tendiamo a considerare una perdita in misura maggiore rispetto ad un guadagno della stessa entità o anche superiore.

Un bias che viene molto utilizzato in ambito economico ma che possiamo applicare anche nello sport, perché la perdita può essere anche di tipo emotivo (es. perdita del relax).

Non iniziare a fare attività fisica risulta molto meno complicato e faticoso rispetto ad iniziarla.

Perdere la nostra comfort zone, anche quando questa non ci rende soddisfatte, è uno scenario che ci appare meno fattibile ed accettabile che iniziare un percorso salutare e che, anche dati alla mano, sappiamo essere migliore.

A seguire piazzerei, senza ombra di dubbio, il bias dello status quo, che ci porta a preferire scelte che non cambino le cose, o che cambino il meno possibile secondo l’errata convinzione che una scelta diversa farà peggiorare la situazione.

Ciò accade perché noi esseri umani tendiamo a diventare apprensivi e preoccupati davanti al cambiamento.

Quindi ci piace rimanere fedeli alla nostra routine e pensare di cambiarla, iniziando anche con 15 minuti di attività quotidiana, ci sembra uno scenario non plausibile perché potrebbe portarci in conto una gestione diversa della nostra giornata, una diversa organizzazione della famiglia o degli orari, a tutto svantaggio nostro in termini di maggiore stress.

È proprio così che ragioniamo.

Ho trovato pertinente all’argomento anche il bias dell’euristica della disponibilità.

Potresti aver detto o sentito dire: “non è vero che fare sport allunga la vita. Mio nonno (o padre, o amico, ecc) non ha mai fatto niente in vita sua ed è morto a 95 anni”.

Ecco l’esperienza del nonno in questione non ha alcuna validità statistica.

È stato solo molto fortunato!

Questo bias consiste nel sovrastimare le informazioni a nostra disposizione. E soprattutto fare riferimento a quelle che ci hanno maggiormente colpito da un punto di vista emotivo.

Vantaggi

Per leggere come vantaggiosi i bias cognitivi sono partita dal presupposto che la consapevolezza di come agiscono producono in noi una coscienza critica ed attiva nell’utilizzarli a nostro favore.

Senza questa coscienza i bias resteranno distorsioni mentali da subire.

Per esempio sai cosa è il bias del presente?

Nel bias del presente, chiamato attualizzazione iperbolica, accade che siamo portati a prendere decisioni per ottenere una gratificazione immediata, senza tenere in considerazione la prospettiva futura.

Questo atteggiamento influenza i nostri comportamenti in 3 importanti aree della nostra vita: benessere (alimentazione e sport), vita professionale e risparmi.

In un esperimento del 1998 i partecipanti dovevano scegliere tra un frutto sano e uno snack al cioccolato.

Quando la scelta riguardava il momento presente, il 70% degli individui sceglieva il goloso snack al cioccolato quando invece la scelta era spostata nel futuro, il 74% degli individui sceglieva la frutta.

Iniziare a fare sport parte dallo stesso principio.

Quindi ora che lo sai non pensare al presente ma compi la scelta oggi per assicurarti un futuro in salute.

C’è poi un altro interessante bias, la dissonanza cognitiva che mi fa pensare alla nostra vocina interiore che spesso e volentieri cerchiamo di mettere a tacere.

Perché la dissonanza cognitiva non è altro che quello stato di disagio che proviamo quando in pratica “ce la raccontiamo”, ovvero il nostro comportamento differisce dal nostro pensiero.

“Ho fatto l’abbonamento in palestra. Da lunedì comincio”. Forse è una affermazione che suona familiare anche a te.

E poi l’abbonamento scade senza aver fatto nemmeno un giro sul tapis roulant.

Eppure sai che se facessi quel “click” avresti molti vantaggi, fisici e mentali.

Sembra però che la dissonanza cognitiva sia efficace nel cambiamento di un atteggiamento quando, ad esempio:

  • il riconoscimento sociale ottenuto dal cambiamento di atteggiamento porta a esiti positivi;
  • diminuendo le informazioni incoerenti le persone sono modificabili;
  • il cambiamento investe la componente cognitiva, emotiva e relazionale;

Volendo traslare questo concetto sul mondo dello sport chi inizia a fare attività fisica produrrà in se stessa una modifica non solo fisica, ma anche emotiva: più sicurezza in se stessa, più capacità di volersi bene, più apertura verso il mondo sociale che le riconoscerà gli sforzi fatti.

Un altro bias che trovo particolarmente calzante in ambito sportivo è quello dell’effetto dell’illusione.

Ci sono delle credenze che si sono formate da notizie e informazioni reiterate nel tempo, a prescindere che fossero vere.

Come dice Goebbels “ripeti una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.

Questo avviene quando siamo talmente bombardati da una affermazione che, seppur non supportata da evidenze scientifiche, finisce per entrare nella nostra testa come una vera e propria realtà inconfutabile.

Vuoi un magnifico esempio?

Fare gli squat ingrossa le gambe!
Centinaia di donne sono ossessionate da questo tormentone e anche chi fa sport, ed è convinta del suo effetto benefico, evita alcuni esercizi perché ha delle convinzioni formatisi da “voci di corridoio” o sulla base di pochissime informazioni.

Termino con il bias dell’overconfidence ovvero avere troppo sicurezza in se stessi.

Riguarda il grado di consapevolezza relativa alle proprie abilità ma anche ai propri limiti, il che porta ad un’eccessiva fiducia nei propri mezzi e ad una sopravalutazione di sé.

Scegliere il giusto ritmo di allenamento, la tipologia di esercizi e la frequenza con cui allenarsi sono aspetti molto importanti, sia in chi inizia sia in chi si pone degli obiettivi di performance.

Questo è un bias che personalmente amo molto, perché se sai comprenderlo bene sarà quella spinta che ti aiuterà ad osare sempre un po’ di più e a raggiungere risultati che non avresti mai immaginato.

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Bias cognitivi principali

I bias cognitivi sono oltre duecento, e sempre in aggiornamento. Impossibile dunque, e anche inutile in questa sede, enunciarli tutti.

Al fine però di raggiungere quella consapevolezza di cui parlavo in tema di “vantaggi dei bias cognitivi” mi rifaccio allo studio di Buster Benson che li divide in tre categorie:

  • Informazioni
  • Significato
  • Tempo

Informazioni

Ci sono troppe informazioni da elaborare e abbiamo un’attenzione limitata da prestare, quindi filtriamo molte cose.

Il rumore diventa segnale.

Il rovescio della medaglia: non vediamo tutto. Alcune delle informazioni che filtriamo sono effettivamente utili e importante.

Significato

La mancanza di significato crea confusione e abbiamo una capacità limitata di capire come le cose si incastrano, quindi creiamo storie per dare un senso a tutto.

Il segnale diventa una storia.

Il rovescio della medaglia: la nostra ricerca di significato può evocare illusioni.
A volte immaginiamo dettagli che sono stati riempiti dalle nostre supposizioni e costruiamo significati e storie che non sono realmente presenti

Tempo

Non abbiamo mai abbastanza tempo, risorse o attenzione a nostra disposizione per ottenere tutto ciò che deve essere fatto, quindi saltiamo alle conclusioni con ciò che abbiamo e andiamo avanti.

Le storie diventano decisioni.

Il rovescio della medaglia: le decisioni rapide possono essere seriamente imperfette. Alcune delle reazioni e delle decisioni rapide a cui saltiamo sono ingiuste, egoiste e controproducenti

Il nostro viaggio nei bias cognitivi termina qui.

Spero di aver quantomeno instillato nella tua mente la possibilità di farti considerare in modo diverso i pensieri che fai istintivamente o le decisioni che sei chiamata a prendere.